Di nuovo Paolo Genovese, che fa un ulteriore salto di qualità rispetto a Perfetti sconosciuti, passando dalla commedia al dramma e indagando questa volta nelle profondità più recondite dell’animo umano.
Il film, assolutamente nuovo e originale nel panorama italiano, prende spunto da una serie televisiva americana The Booth at the End in cui uno sconosciuto fa in modo di avverare i desideri di chiunque sia disposto a fare qualcosa in cambio. In sostanza il tema della serie, come del film, è “Fino a che punto sareste disposti ad arrivare per ottenere quello che volete?”.
In realtà la storia mi ha ricordato anche una vecchia pellicola tratta da Stephen King, Cose preziose, in cui il Diavolo in persona approda in una piccola cittadina e comincia a mettere gli abitanti l’uno contro l’altro, sfruttando debolezze e desideri nascosti di ognuno, per far loro commettere ogni genere di malefatta, dai piccoli dispettucci fino all’omicidio.
The place però è molto più elegante nella confezione, affascinante negli sviluppi, e profondo nella morale. Ambientato interamente in una piccola tavola calda, che dà il titolo al film, si snoda per quasi due ore senza interruzioni, né cali di ritmo o di tono, tenendoci letteralmente incollati alla poltrona a seguire le varie storie dei protagonisti, che si susseguono, s’intrecciano, si incontrano o si scontrano, senza sapere nulla l’uno dell’altro, pur facendo tutti parte di un gioco pronto a cambiare le loro vite per sempre.
In questo piccolo locale, seduto in fondo, relativamente appartato, c’è il personaggio principale, il nucleo attorno a cui ruota tutto il film. E’ seduto lì dall’inizio alla fine, non lo si vede arrivare né andare via, non si sa chi sia, si può solo immaginare, anche se poi, più avanti, ci si rende conto che si potrebbe anche aver sbagliato…
Il film inizia subito con uno degli otto personaggi in cerca di un favore, che si avvicina all’uomo misterioso per chiedere ciò di cui ha bisogno; questi apre una specie di agenda che ha di fronte e legge la sentenza inappellabile che vi è scritta, spiegando all’interlocutore cosa dovrà fare per veder realizzato il suo desiderio.
Più volte, durante il film, l’uomo misterioso spiegherà che non dipende da lui, non è lui che decide qual è il prezzo da pagare. Lui è solo un esecutore, si limita a leggere quello che è scritto nel libro. E nessuno è obbligato a fare quello che c’è scritto. Rimane una loro libera scelta.
Otto personaggi, diversissimi per età, cultura ed estrazione sociale si recheranno dall’uomo misterioso con il loro carico di miserie umane, rovesciando sul piccolo tavolo del bar problemi e desideri, naturalmente diversissimi. Differenti anche le risposte dell’uomo misterioso, ma accomunate da due caratteristiche: il compito richiesto è sempre possibile, fattibilissimo, difficile forse, ma in ogni caso attuabile, e nello stesso tempo è assolutamente orribile, a volte assurdo, più spesso atroce, contrario a tutti i principi della morale, di qualunque credo religioso, e persino della logica e della razionalità.
Giusto per darvene un assaggio, ad una suora che ha perso la vocazione e chiede di ritrovarla, l’uomo misterioso dice che dovrà restare incinta se vuole riavere la sua fede, mentre a un uomo che chiede la guarigione del figlio malato di cancro, viene richiesto di uccidere una bambina, non importa chi, né in che modo, semplicemente una vita per una vita. Non aggiungo altro, perché il film va visto nella sua completezza, nel suo dipanarsi graduale, assaporandone tutte le sfaccettature e gli intrecci della sceneggiatura.
E’ ovvio che la parte più interessante della storia sarà vedere le reazioni dei singoli personaggi di fronte alle agghiaccianti richieste. La prima domanda che quasi tutti si pongono riguarda la veridicità delle promesse dell’uomo misterioso: siamo sicuri che se faccio quello che mi chiedi, otterrò quello che voglio? La risposta è sempre univoca e non lascia spazio a dubbi o incertezze di sorta: se esegui il compito che ti viene assegnato, avrai ciò che hai chiesto. Risolto questo dubbio iniziale, la questione diventa morale.
Man mano che il film procede assistiamo anche ad una parvenza di reazione da parte dei questuanti nei confronti di questo misterioso personaggio, all’apparenza senza cuore né etica. Che accettino o meno la proposta indecente che viene loro fatta, sono tutti accomunati da un sentimento di disprezzo verso l’uomo misterioso, che solo in alcuni casi lascia spazio ad una parvenza di gratitudine.
Con l’avanzare della storia arriviamo anche a conoscere meglio questo personaggio, che all’inizio poteva sembrare un’entità maligna, ma che alla fine si rivela anche lui una vittima di questo gioco assurdo in cui è imprigionato, un gioco di cui non ha scritto le regole, un gioco che in parte lo disgusta e di cui farebbe volentieri a meno. In suo aiuto verrà un altro personaggio, che sembra essere esattamente il suo opposto…
A differenza di Perfetti sconosciuti, questa volta il film di Genovese ha un finale chiuso, con uno spiraglio ambiguo sull’arcano: gli otto personaggi concluderanno tutti le loro storie. Alcuni sceglieranno di non arrivare fino in fondo, e ciò nonostante otterranno quello che avevano chiesto; del resto era una possibilità che l’uomo misterioso aveva prospettato a tutti, ma pochi avevano preferito la possibilità alla certezza. Alcuni scenderanno a patti con la propria coscienza, per poi accorgersi che quello che pensavano di desiderare non ne valeva la pena. Ovvero: attento a quello che desideri, perché potresti ottenerlo. Altri ancora prenderanno strade diverse, arrivando a capire che quello che credevano di desiderare in realtà non gli serviva. Altri, infine, comprenderanno che il loro desiderio era profondamente egoistico ed ingiusto, e ci rinunceranno.
La regia non offre particolari guizzi di originalità, e del resto l’ambiente e la storia stessa non li permettono. Genovese privilegia i primi piani, inchiodando i personaggi con inquadrature impietose, che ne mettono a nudo i sentimenti più profondi, e svelano le meschinità più nascoste. In questo senso è agevolato da un nutrito gruppo di attori particolarmente espressivi, che raccontano i propri personaggi attraverso sguardi e silenzi, prima ancora che attraverso le parole. Splendidamente dosate anche quelle, da una sceneggiatura fatta di dialoghi rivelatori, che colmano i vuoti di tempo e di spazio, mostrandoci tutto quello che succede fuori da quel misterioso locale, come se vi assistessimo in prima fila.
Valerio Mastandrea nei panni dell’uomo misterioso, Marco Giallini, Silvio Muccino, Alba Rohrwacher, Vittoria Puccini, Rocco Papaleo, una meravigliosa e intensissima Giulia Lazzarini, che qui si avvale della sua lunga esperienza teatrale, e la sorpresa, in tutti i sensi, Sabrina Ferilli.
In fondo la morale del film è un’attenta riflessione non solo sulla coscienza individuale e sul significato che ognuno di noi dà al bene e al male, ma anche sulla consapevolezza che ogni cosa che otteniamo, in qualunque modo l’abbiamo ottenuta, ha comunque un prezzo, sempre per noi, spesso anche per altri.
Un altro di quelli che mi mancano…
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Da recuperare allora, assolutamente.
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Ok, vedo di organizzarmi per il weekend 😉
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Potrebbe anche darti qualche buono spunto per scrivere. Tra gli otto personaggi ci sono storie interessanti.
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Come se non avessi abbastanza da scrivere… 😛
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Interessante 😀 Raffaella buon giorno 💗
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Dopo il tuo articolo viene voglia di vederlo.
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L’idea è quella. Spero di aver incuriosito qualcuno.
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lo spunto mi sembra davvero interessante.
credo che la riuscita di un film così “teatrale” dipenda soprattutto dall’efficacia dei dialoghi e dalla bravura degli interpreti.
spero di riuscire a vederlo.
ml
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Se ti capita, non dovresti rimanere deluso, è molto ben fatto.
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ce lo! ce lo! 😀 (ormai è così Raffa, sarà l’età)
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Va bene così
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sei in Vasco Rossi moment!
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Proprio così!
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😀
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