Stewart Granger, l’eroe gentiluomo

Il fisico aitante, con l’altezza non comune che superava il metro e 90, e il viso da aristocratico buono, dotato di lineamenti raffinati, e con una precoce brizzolatura alle tempie, che gli donava quel tocco in più di fascino, permisero a Granger di affermarsi soprattutto come attore di film in costume e d’avventura, in cui potevano essere valorizzate le sue maniere da gentiluomo d’altri tempi. Inoltre la sua innata inclinazione a interpretare personaggi atletici e coraggiosi, talvolta spregiudicati, unita al suo aspetto affascinante e rassicurante, ne fecero l’eroe ideale per i film di cappa e spada, erede naturale di Errol Flynn.

Il suo vero nome era James Lablache Stewart: nasce a Londra il 6 maggio 1913. Figlio di un maggiore dell’esercito e di un’attrice, dopo la laurea in medicina frequenta una scuola di recitazione e intraprende con successo la carriera teatrale prima di passare al cinema. Negli studi inglesi della Gainsborough non ha rivali nel ruolo dell’eroe romantico senza macchia e senza paura, nel genere del melodramma popolare. Quando inizia a recitare al cinema gli viene suggerito di cambiare il nome, per evitare di essere confuso con l’attore americano James Stewart: è allora che prende il cognome da nubile della nonna, Granger, a cui aggiunge Stewart come nome. Da allora per il mondo dello spettacolo diventa Stewart Granger, anche se gli amici continuano a chiamarlo Jimmy.

Nel cinema inizia da stuntman e dopo alcuni film in cui compare senza essere accreditato, esordisce nel 1939, diventando uno degli attori di maggior richiamo del cinema britannico. Nel corso degli anni ‘40 consolidò la sua fama in patria, interpretando ruoli di eroe romantico accanto ad attori come James Mason e Vivien Leigh. Tra i vari titoli, vale la pena ricordare Il mio amore vivrà (1944), Cesare e Cleopatra (1946), Il capitano Boycott (1947), e Sarabanda tragica (1948). Importante anche Adamo ed Evelina (1949), in cui recita con Jean Simmons, che sposerà l’anno successivo e con cui partirà per gli Stati Uniti.

A Hollywood divenne una star di primo piano già con Le miniere di Re Salomone (1950), accanto a Deborah Kerr, anticipando con il personaggio dell’avventuroso gentiluomo Allan Quatermain, molti tratti del fortunato Indiana Jones di Steven Spielberg: cappello coloniale con tesa leopardata, sahariana aperta sul petto e cartucciera a tracolla, lo rendono irresistibile. Seguirono due film diretti da Richard Brooks, L’immagine meravigliosa (1951) e il western animalista L’ultima caccia (1956), con Robert Taylor. In quegli anni fu protagonista di altri film di grande successo, in cui fu spesso affiancato a dive di grande fascino, quali Il prigioniero di Zenda (1952), con Deborah Kerr; Infernobianco (1952) con Cyd Charisse; Salomè (1953) con Rita Hayworth; Fuoco verde (1955) con Grace Kelly; Lord Brummell (1954), con Elizabeth Taylor, e il kolossal Sangue misto (1956), con Ava Gardner.

Ma le sue più significative e riuscite interpretazioni di quegli anni restano quelle dello spadaccino elegante di Scaramouche (1952) e dell’equivoco personaggio, gentiluomo e contrabbandiere, che fa da tutore all’orfanello ne Il covo dei contrabbandieri (1955) di Fritz Lang. Nel primo viene valorizzato lo spirito generoso, guascone e vagamente canagliesco del personaggio interpretato da Granger, mentre il fascino contraddittorio e ambiguo di eroe-furfante trova nel film di Lang un ulteriore approfondimento: il regista tedesco, infatti, armonizzando l’aspetto gentile e sinistro dell’attore con l’ambiente cupo e macabro che fa da sfondo alle gesta di un gruppo di manigoldi e assassini, affidò a Granger una delle più commoventi, tragiche e leali figure di adulto senza più illusioni, alle prese con l’innocenza infantile.

Successivamente l’attore ricevette offerte sempre meno interessanti, a eccezione di alcuni ruoli interpretati nella prima metà degli anni ‘60 in Pugni, pupe e pepite (1960), il vivace e divertente western di Henry Hathaway, con John Wayne, in Sodoma e Gomorra (1962), lo spettacolare peplum diretto da Robert Aldrich, o nel cinico film di guerra di Roger Corman, Cinque per la gloria (1964). Alla fine degli anni Settanta fu interprete del film d’avventura, dalla struttura decisamente convenzionale, I quattro dell’Oca selvaggia (1978), accanto ai compatrioti Richard Burton, Richard Harris e Roger Moore.

È stato il solo attore di Hollywood, assieme a Basil Rathbone, a saper tirare di scherma da vero professionista. Per la leggendaria sequenza del duello di spada tra lui e Mel Ferrer in Scaramouche (la migliore nella storia del cinema, di circa 10 minuti, filmata in tre piani sequenza), prese lezioni da un campione olimpionico per circa tre mesi, con duri allenamenti di 4 ore al giorno. La critica non è mai stata tenera con lui: malgrado negli anni ’50 fosse una vera e propria star, non ha mai vinto alcun premio importante se non qualche riconoscimento secondario.

Dagli anni ‘70, come altri suoi colleghi della stessa generazione, passò alla tv, alternando il lavoro televisivo con quello cinematografico e teatrale; tra le molte performance, partecipa a 24 episodi della serie Il virginiano, è il Principe Filippo nel film tv Il romanzo di Carlo e Diana (1982) e poi compare in diversi episodi di Love boat e La signora in giallo. La sua ultima interpretazione in televisione è nel film Chameleons (1989). Nel 1981 aveva scritto un’autobiografia dal titolo Sparks Fly Upward.

Muore di cancro alla prostata a 80 anni, nella sua residenza di Santa Monica, in California, il 16 agosto 1993. Si era sposato tre volte con due divorzi. Dalla prima moglie, Elspeth March, ha avuto due figli, Jamie e Lindsay; dopo la sua morte, aveva sposato l’attrice Jean Simmons, che gli ha dato un figlio, Tracy, diventato un celebre tecnico del montaggio, e dopo il divorzio da lei, si era risposato nel 1964 con un’altra attrice, Caroline LeCerf, da cui ha avuto una figlia, Samantha, e da cui ha poi divorziato nel 1969.

«Ho amato fare film in costume, ma è stata la scelta sbagliata per la mia carriera. Non ho fatto un solo film di cui essere davvero orgoglioso»

FONTI: Enciclopedia del cinema, Treccani – cinekolossal – cinematografo.it


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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

17 pensieri riguardo “Stewart Granger, l’eroe gentiluomo”

  1. Grande schermidore, il realismo c’era nonostante fossero duelli cinematografici, perché non veniva mai meno la regola che se sbagli e ti esponi, l’altro ti ammazza… bravo lui e bravo il regista.

    Niente mosse ridicole

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      1. Adesso non saprei cosa passa la tv generalista… ma la narrazione di questo tipo di film sarebbe troppo “lenta” oggi e troppo basata su un sentire profondo dei protagonisti, inspiegabile ai giorni nostri, che non sappiamo più capire che 50, 100, 400 anni fa il mondo (e le persone) era diverso

        Piace a 1 persona

  2. Lo ricordo un Cappa e spada e in Love boat nel primo ero proprio una bimbetta e invece negli episodi televisivi un pochino più grandicella. Un vero peccato però che lui stesso non sia stato soddisfatto di nessun film che abbia interpretato, questo mi fa una certa tristezza! Ti auguro una piacevole serata cara Raffa 🌺

    Piace a 1 persona

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