Joan Bennett, la musa di Fritz Lang

1910 – 1990

Il suo nome completo era Joan Geraldine Bennett. Nasce il 27 febbraio 1910 a Palisades, nel New Jersey, in una famiglia di attori: i genitori erano entrambi artisti di teatro e del cinema muto, e anche le sorelle Constance e Barbara diventeranno attrici. Joan muove i primi passi sul palcoscenico già a 5 anni, ma approda al cinema in una parte di rilievo solo nel 1928, impersonando una giovane e bella ereditiera, in Cercasi avventura. Nel decennio successivo arrivò a specializzarsi in ruoli comici e di ragazza affabile e ingenua.

Inizialmente bionda, non molto alta ma dai lineamenti perfetti, seppe successivamente mostrare notevoli capacità espressive anche in ruoli completamente diversi, come in Piccole donne (1933) di George Cukor, dove è Amy, e nei film d’avventura La maschera di ferro (1939) e Inferno verde (1940), entrambi diretti da James Whale.

Nel 1940 l’incontro con il terzo marito, il produttore Walter Wanger, diede nuovo impulso alla sua carriera, permettendole di lavorare con grandi registi. In particolare, L’isola degli uomini perduti (1940) è il film che segnò una svolta nell’evoluzione dei suoi personaggi: la donna dalla personalità ambigua, disposta a tradire l’uomo che ama, che interpreta qui, anticipò infatti i ruoli che avrebbe assunto nel cinema di Lang. E se all’inizio della sua collaborazione con il cineasta tedesco, in Duello mortale (1941), sono ancora visibili tracce del suo passato (soprattutto nei movimenti slapstick di derivazione comica), ne La donna del ritratto (1944) la sua immagine appare trasformata da un’inquietudine che affiora dietro l’apparente solarità.

Il personaggio di Alice Reed è oggetto di perdizione, sogno che prende provvisoriamente forma reale, ed è lo stesso sogno che si sarebbe poi materializzato nella prostituta di La strada scarlatta (1945), film in cui ancora una volta Lang sembra modellare un archetipo di femminilità che oscilla tra l’erotismo e una crudele aggressività. Il ruolo scabroso (inaccettabile per quegli anni) di Peggy, moglie di un pittore cieco che fa perdere la testa a un ufficiale di marina, ne La donna della spiaggia (1947), segnò l’inizio del progressivo declino della sua immagine.

Dopo Passione selvaggia (1947), fu nuovamente riportata in un universo onirico da Lang nel dramma Dietro la porta chiusa (1947); in questo film il suo personaggio è delineato in modo confuso, ma riesce a comunicare fascino e angoscia raccontando l’intera vicenda dal suo soggettivo punto di vista, attraverso la voce fuori campo. Successivamente la Bennett confermò ancora intense qualità drammatiche nei panni di una madre ricattata in Sgomento (1949) di Max Ophuls. La sua bellezza manteneva sempre una certa vulnerabilità e morbidezza, mentre gli sguardi e i gesti si rivelavano ora docili, ora improvvisamente aggressivi e sensuali.

A partire dagli anni ‘50, l’industria hollywoodiana non riuscì più a offrirle parti adatte a un’attrice di appena quarant’anni. Ricoprì così il ruolo della moglie accanto a Spencer Tracy ne Il padre della sposa (1950) e nel suo sequel Papà diventa nonno (1951) di Vincente Minnelli, ma anche in Quella che avrei dovuto sposare di Douglas Sirk; fece poi un’apparizione secondaria (sempre da madre di famiglia) in Non siamo angeli(1955), di Michael Curtiz. Dalla metà degli anni ‘50 abbandonò progressivamente il set per dedicarsi al teatro e alla televisione.

In questo periodo subì anche un contraccolpo professionale, in seguito all’omicidio commesso dal marito, il produttore Walter Wanger, ai danni del suo agente Jennings Lang, che sospettava essere amante della donna. Soltanto nel 1977 riapparve in Suspiria di Dario Argento nei panni di Madame Blanc, oscura figura che gestisce un’accademia di danza classica. La Bennett fu scelta da Argento proprio perché era stata attrice di riferimento per Fritz Lang, che era uno dei suoi registi preferiti.

Joan Bennett muore per un attacco di cuore, il 7 dicembre 1990, a 80 anni. Si era sposata quattro volte: il primo matrimonio a 16 anni, da cui era nata la figlia Adrienne, il secondo a 22 anni con lo sceneggiatore Gene Markey, da cui nasce la figlia Melinda; segue poi il matrimonio col produttore Walter Wanger, da cui ha altre due figlie, Stephanie e Shelley, e infine, dopo l’ennesima separazione, nel 1978 sposa il critico David Wilde, con cui resterà fino alla fine.

«Non ho una gran considerazione della maggior parte dei film che ho fatto, ma essere una star del cinema mi piaceva molto»

FONTI: Enciclopedia del cinema, Treccani – cinekolossal


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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

18 pensieri riguardo “Joan Bennett, la musa di Fritz Lang”

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