Locandine

Gli anni Sessanta in Italia e il cinema d’autore

Gli anni Sessanta furono un periodo di grandi novità per il cinema italiano: accanto a commedie e drammi sentimentali di natura più commerciale, cominciarono a prendere piede film più impegnati e di maggiore importanza artistica, ad opera di registi come Fellini, Antonioni e Pasolini, che fornirono soggetti meravigliosi per i cartellonisti nostrani.

Nel 1960 esce il capolavoro di Fellini La dolce vita: l’immagine più associata al film è sicuramente il bagno di Anita Ekberg nella fontana di Trevi, ma non fu quella usata per promuovere la pellicola. Per manifesti e locandine del film si cimentarono due trentenni allora emergenti, che si fecero subito apprezzare nel settore: il bolognese Giorgio Olivetti e il ferrarese Alessandro Symeoni, di cui abbiamo già parlato. I risultati ottenuti dai due cartellonisti sono molto diversi e riconoscibili.

A sinistra il lavoro di Olivetti, a destra quello di Symeoni: il segno di Olivetti è più pastoso e sensuale, i colori sono densi e illividiti, notturni; la composizione di Symeoni è più accesa, quasi festosa, con alcuni accenti che ricordano lo stile di Guttuso. Per l’uscita italiana del film fu scelto il manifesto disegnato da Olivetti, con il volto dominante di Mastroianni, in fredde sfumature di blu, che guardava la Ekberg danzare: nell’espressione di Mastroianni “era concentrata tutta la decadenza della società che il film voleva rappresentare” – così scrissero i giornali dell’epoca – mentre lo charme della Ekberg era riassunto nella brillantezza dei capelli e nella luminosità della pelle, che nessun altro artista aveva saputo rappresentare altrettanto bene.

Mentre Fellini sottolineava la decadenza morale della società, Michelangelo Antonioni metteva al centro dei suoi film temi come l’amore tormentato e il senso di abbandono. L’unica locandina che fu in grado di rappresentare le intense emozioni dei film di Antonioni fu quella per Il grido, disegnata da Symeoni. L’artista creò un’intensa composizione con il suo stile particolare che passava da una pennellata incisiva, utilizzata nei ritratti, a una più approssimativa e dai colori brillanti per lo sfondo. Antonioni raggiunse poi il successo con L’avventura, e il manifesto fu disegnato sempre da Symeoni, che seppe catturare la fragilità della protagonista e la sua natura enigmatica.

Accanto alla locandina di Symeoni, sempre per L’avventura, circolò anche quella di Carlantonio Longi, di taglio iconografico più tradizionale e vicino alle copertine del romanzo sentimentale, ancora legato alla cartellonistica degli anni Cinquanta. Lo stesso Longi esibirà invece una propria originalità di stile quando lavorerà per Pasolini al manifesto di Uccellacci e uccellini (a destra).

Sempre di Antonioni, nel 1961 esce La notte, e la locandina viene affidata a Giuliano Nistri: l’autore illustra, con la sua pennellata grezza ma realistica, l’intensità della relazione tra i due protagonisti, sposati ma in crisi, sull’orlo della separazione. Lo stile è ancora legato ai cartelloni degli anni Cinquanta. Diverso è il manifesto per Zabriskie point (1969), progettato dal grafico Milton Glaser. Antonioni aveva lasciato l’Italia per seguire progetti più internazionali, e decise di affidare a Glaser la locandina del suo nuovo film. Il risultato fu di grande effetto: la composizione, che ricordava la copertina di un disco, presentava una serie di icone della cultura americana sollevate in maniera inquietante a mezz’aria, quasi fossero il risultato di un’esplosione.

Pier Paolo Pasolini aveva invece una visione cinematografica controversa e fortemente provocativa. Le locandine dei suoi film rappresentavano i mutamenti della società degli anni Sessanta, con illustrazioni spesso crude e minimaliste. I manifesti per Mamma Roma (1962) e Accattone (1961) sono opera rispettivamente di Brini e Symeoni, ma il loro stile è ridotto all’osso e difficilmente riconoscibile: i delicati acquerelli di Brini furono sostituiti da linee graffianti, mentre le pennellate di Symeoni diventarono taglienti e confuse.

L’aumento dell’uso della fotografia portò a un progressivo abbandono del manifesto illustrato. Le locandine dei film di genere, come gli spaghetti western, continuarono però a utilizzare le illustrazioni. I colori brillanti e le composizioni fantasiose servivano ad attirare il pubblico in mancanza di grandi registi e attori famosi. Lo stile utilizzato si rifaceva alla tipica iconografia western proveniente dall’America.

Due dei più famosi illustratori associati a questo genere sono Symeoni e Gasparri, autori delle locandine dei film di Sergio Leone. A sinistra Per un pugno di dollari (1964), opera di Symeoni, dal taglio decisamente fumettistico; a destra Per qualche dollaro in più (1965), disegnato da Gasparri, e chiaramente ispirato ai fotogrammi del film. Lo stile dei suoi manifesti aiutò a rafforzare la falsa immagine dei film di Leone come western americani.

Ma Symeoni seppe cambiare ulteriormente stile, affinando le sue capacità e sperimentando la propria vena pittorica in composizioni via via più stilizzate, come per Grazie zia (1968) e Scusi, Lei conosce il sesso? (1968), influenzate dalle suggestioni della grafica e della Pop Art, in voga alla metà degli anni Sessanta. Per Pasolini disegnerà anche la locandina de I racconti di Canterbury (1972), che lo stesso Symeoni ha dichiarato di considerare il suo lavoro migliore.

Infine va citato tra i grandi cartellonisti italiani Averardo Renato Ciriello, abile illustratore dalla mano felice, che in quegli anni ha firmato i manifesti dei primi 007 storici, quelli con Sean Connery: Dalla Russia con amore (1963) e Missione Goldfinger (1965).

La prossima volta vedremo gli anni Sessanta in America e la rivoluzione culturale.

∞●∞●∞

Indice della rubrica Locandine

FONTI: Alessandra Rostagnotto, Dal manifesto pubblicitario al poster da collezione – muromaestro.com


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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

21 pensieri riguardo “Locandine”

  1. Sulla Dolce vita, in mancanza di meglio, sono d’accordo con la scelta fatta.
    Per Antonioni, direi che quelle locandine sono decisamente eccessive, rispetto alla sottigliezza/raffinatezza del regista (ho visto quasi tutti i suoi film, per fortuna in tv, e li ho registrati, quindi ho evitato le locandine). L’unica che mi piace è quella di Zabriskie Point, un po’ “ballata”, come lo spirito del film.
    Di Pasolini mi piace solo quella di Mamma Roma.
    Su tutto il resto, non mi esprimo, ma grazie per avermele fatte conoscere!!! Non le ricordo, ma sicuramente qualcuna l’ho già vista, “ai tempi”. 🙂

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    1. Anche io sono rimasta perplessa, perché in effetti avrebbero potuto permettersi qualcosa di più, sia Fellini che Antonioni. Pasolini era molto particolare, e lo sono anche le sue locandine. Mi piacciono invece quelle vicine alla Pop Art, come quella di Scusi, lei conosce il sesso? o I racconti di Canterbury. Almeno dicono qualcosa di nuovo.

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  2. Davvero abile la mano di Symeoni, capace di cambiare stile seguendo i tempi e le mode del momento. Le locandine legate alla “pop-art” sono quelle che apprezzo maggiormente, perché si tratte di una corrente artistica che ho sempre ammirato.

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  3. Tutte di uno stile grafico completamente diverso da quello odierno e anche da tutto questo si denota come si è trasformata (in peggio) la comunicazione. Buon pomeriggio cara Raffa e complimenti p34 questa bella e completa rassegna 🍂🍁

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