Orson Welles, oltre i limiti del genio

1915 – 1985

Considerato uno dei massimi artisti del ventesimo secolo, George Orson Welles nasce a Kenosha, in Wisconsin, il 6 maggio 1915.
È stato attore, regista, sceneggiatore e produttore: nelle sue opere si è dimostrato un geniale inventore di immagini, capace di sperimentare sempre nuovi mezzi espressivi e di dar vita, con le sue capacità istrioniche e interpretative, a grandi personaggi cinematografici.

Rimane orfano della madre a 9 anni e quattro anni dopo perde anche il padre; sotto la tutela di un medico, amico di famiglia, riesce a diplomarsi, ma invece di continuare gli studi, parte per l’Irlanda, dove riesce a farsi assumere dal Dublin Gate Theatre spacciandosi per un noto attore americano. Tornato negli Stati Uniti, a New York, entra nella compagnia teatrale di Katharine Cornell e debutta, a 19 anni, in Romeo e Giulietta. Nel 1934 dirige il suo primo cortometraggio, Hearts of age, e inizia a lavorare in radio.

Nel 1938 produce per la radio CBS la trasmissione The Mercury Theatre on the Air: ogni puntata in diretta era l’adattamento di un classico della letteratura in cui la storia veniva raccontata in prima persona, con una particolare attenzione al realismo degli effetti sonori. Di questo ciclo fa parte anche la famosa trasmissione de La Guerra dei Mondi, di H.G. Wells, realistica a tal punto da far credere che l’attacco marziano stesse effettivamente avvenendo: mentre l’attore leggeva alla radio il racconto di H.G. Wells, migliaia di ascoltatori in preda al panico si riversarono nelle strade. Quel giorno l’America scoprì di aver dato i natali a un genio.

Welles, che aveva appena 23 anni, non raggiunse mai più un simile livello di popolarità, ma all’epoca non poteva immaginare che con l’arrivo a Hollywood la sua carriera avrebbe iniziato a declinare. Nei quarant’anni seguenti, il credito acquisito in meno di un decennio si logorò poco a poco. Durante l’estate del 1939 la RKO stilò un contratto unico nella storia di Hollywood, che gli permise di realizzare il suo primo film in condizioni di libertà totale. Quando Quarto potere (1941) fu proiettato in anteprima, la critica era pronta a stroncare la presunzione giovanile del regista, ma il film fu giudicato un capolavoro da quasi tutti. Ciononostante, fu un fiasco commerciale colossale.

Welles si era parzialmente ispirato a un magnate della stampa, William Randolph Hearst, tanto potente quanto permaloso. Durante le riprese, Hearst affidò a Louella Parsons, maestra del pettegolezzo giornalistico, il compito di orchestrare una campagna negativa violentissima. E ottenne l’effetto desiderato: la RKO fu intimorita dalle pressioni, e le minacce e i ricatti fecero cedere i distributori indipendenti. Malgrado le critiche entusiaste che provenivano da ogni parte, Hearst riuscì a distruggere il destino commerciale del film.

Dire che Quarto potere è un capolavoro che ha influenzato tutti i registi degni di questo nome, è insufficiente. In meno di due ore, Welles sconvolse la struttura narrativa, le tecniche di ripresa e di montaggio tradizionali. La trama inizia con la morte del protagonista, interpretato dal regista stesso, e procede a ritroso in modo frammentario, alla ricerca del significato dell’ultima parola pronunciata prima di morire, Rosebud: un pretesto per raccontare settant’anni di storia americana attraverso un personaggio emblematico e contraddittorio, in un incrociarsi di opinioni, aneddoti, falsi cinegiornali e pettegolezzi che percorrono tutti i lati possibili della vita di Kane.

Numerosi i prodigi tecnici del film: dall’uso di obiettivi, ideati dal fotografo Gregg Toland per l’occasione, che deformano la prospettiva, esaltando una profondità di campo dove ogni dettaglio è ugualmente a fuoco, ai soffitti costruiti nei teatri di posa e valorizzati da audaci angolature dal basso, miranti a rendere quasi tangibile la megalomania del protagonista.

A contrastare l’audacia formale e l’originalità di Quarto potere, Welles scelse per il suo secondo film un romanzo di Tarkington, L’orgoglio degli Amberson, classica saga che narra la decadenza di una famiglia di possidenti e l’avvento della civiltà di massa. Anche questo secondo film fu un insuccesso commerciale, e non per colpa di Hearst. La RKO infatti approfittò dell’assenza di Welles, bloccato in Brasile per girare un documentario commissionato dal governo americano, e rimontò il film, aggiungendo nuove scene girate da altri, e inserendo un assurdo lieto fine. Il fallimento commerciale de L’Orgoglio degli Amberson provoca la fine della collaborazione con la RKO.

Da qui ebbe inizio quell’atteggiamento che spesso ha guastato il lavoro del cineasta: la tendenza alla commercializzazione, a scelte deludenti impostegli da volontà esterne, non sempre rispettose delle sue doti artistiche. Uno dei primi frutti di questi scomodi compromessi fu Lo straniero, del 1946, che fece storcere il naso a più di un critico. Nel 1948 firmò La signora di Shanghai, con l’ex moglie Rita Hayworth, che per l’occasione costrinse a tagliare e ossigenare la sua splendida chioma rossa, i maligni dissero con l’intento di umiliarla.

Fu poi la volta dell’incontro con Shakespeare, stimolante per un uomo di origini teatrali e di grande creatività come lui. Il Macbeth del 1948 non fu però un gran successo, sia per i limitati finanziamenti, sia per un cast non all’altezza dell’opera. Molto meglio andò con Othello del 1952 e soprattutto con Falstaff del 1966, considerato il capolavoro della sua maturità. Al lavoro di regista, continuamente ostacolato da mille difficoltà, alterna quello di attore: da La porta proibita, del 1944, a Il principe delle volpi, del 1949, fino al celeberrimo Il terzo uomo, sempre del 1949: la caratterizzazione del trafficante Harry Lime resta il suo più grande successo popolare.

E ancora lo si vede in Moby Dick, del 1956, La lunga estate calda del 1958 e decine di altri titoli. Ogni volta che compare sullo schermo, anche per pochi istanti, focalizza l’attenzione. Il gusto per il trucco e il travestimento, il sottile piacere di interpretare personaggi il più possibile malvagi e ributtanti, come il poliziotto corrotto de L’infernale Quinlan, del 1958, lo rendono inimitabile. Meritano attenzione anche le fulminee comparsate che Welles si è divertito a incastonare in mille pellicole, più o meno memorabili, spesso scrivendo da solo le sue battute e pretendendo di dirigere personalmente le sequenze in cui doveva comparire. Come il caustico avvocato difensore interpretato in Frenesia del delitto, nel 1959, dove, con un’arringa infuocata contro la pena di morte, si è conquistato il premio per la migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes.

Nel 1963 Welles gira Il Processo, tratto dal romanzo di Kafka, con Anthony Perkins. Sono anni di progetti incompiuti, per lo più per mancanza di fondi, tra questi un film su Don Chisciotte, e l’autobiografico L’altra faccia del vento, in cui un famoso regista, interpretato da John Huston, ha difficoltà a reperire i fondi per dirigere i propri film. Nel 1966 fa part del cast del pluripremiato Un uomo per tutte le stagioni, diretto da Fred Zinnemann.
Nella sua lunga carriera ha vinto l’Oscar solo per la sceneggiatura di Quarto potere e il premio alla carriera nel 1970.

A soli 19 anni aveva sposato l’ereditiera Virginia Nicholson, da cui ebbe una figlia, dall’insolito nome di Christopher; nel 1943 sposa Rita Hayworth, da cui ha una seconda figlia, Rebecca; nel 1955 sposa Paola Mori, con cui rimarrà fino alla morte e da cui ha la terza figlia, Beatrice.
Orson Welles muore il 10 ottobre 1985 per un attacco cardiaco, nello stesso giorno della scomparsa di Yul Brinner. È stato cremato, secondo le sue volontà, e le ceneri riposano in una remota fattoria della Spagna nei pressi di Ronda, in Andalusia, dove aveva vissuto quando aveva diciotto anni.

«Non bisogna dare al pubblico quello che si aspetta, ma quello che non penserebbe mai fosse possibile»

FONTI: Enciclopedia del cinema, Rusconi – Enciclopedia del cinema, Treccani – MYmovies


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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

8 pensieri riguardo “Orson Welles, oltre i limiti del genio”

      1. In ambito musicale ricordo le cause legali che artisti del calibro di Prince, George Michael e Holly Johnson (Frankie Goes To Holliwood) fecero alle case discografiche (vinsero tutti e 3) che di fatto li stavano obbligando a pubblicare dischi non voluti (per contenuti e per tempistiche).

        Piace a 1 persona

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