James Coburn, il cattivo simpatico

Fisico asciutto, alto e un po’ dinoccolato, con un volto scolpito, dai lineamenti decisi e dall’espressione a tratti crudele, addolcita solo dagli occhi chiari, Coburn è stato un significativo interprete di personaggi forti, spesso violenti, ma sempre mossi da un proprio personale codice di giustizia. L’espressione grintosa e severa si illuminava a tratti in un sorriso aperto e istintivamente simpatico e questo gli ha permesso di uscire spesso dal cliché del villain, e di interpretare anche commedie scanzonate.

James Harrison Coburn nasce a Laurel, in Nebraska, il 31 agosto 1928, ma la sua famiglia si trasferisce in California quando lui ha quattro anni. Comincia ad interessarsi al teatro mentre frequenta il liceo, e riesce poi a coltivare quell’interesse nonostante la II Guerra Mondiale lo distolga dalle scene, costringendolo ad arruolarsi nell’esercito. Nel 1952 si iscrive alla University of Southern California per studiare drammaturgia. Dopo alcune esperienze teatrali e televisive, esordì nel 1959 davanti alla macchina da presa in due film western, L’albero della vendetta e Il volto del fuggiasco. Nel genere western, del quale sarebbe diventato uno dei volti più familiari al grande pubblico, Coburn si trova subito a suo agio, tanto che l’anno dopo John Sturges lo inserisce tra I magnifici sette, dove ricopre con riservata naturalezza uno dei sette pistoleri capeggiati da Yul Brynner, che danno aiuto agli abitanti di un villaggio messicano per sgominare una banda di malfattori.

Si trovò così tra gli attori più richiesti nel cast di film legati al genere western o di guerra, come ad esempio L’inferno è per gli eroi (1962) di Don Siegel, al fianco di Steve McQueen. Nel 1963 Sturges lo chiamò di nuovo con alcuni dei magnifici sette, per interpretare La grande fuga. Nel film Coburn è uno dei prigionieri alleati in un campo di concentramento nazista durante la Seconda guerra mondiale: l’australiano Sedgwick, da lui interpretato, abile, attento e taciturno, fuggito in bicicletta e aiutato poi dai partigiani francesi a superare il confine spagnolo, sarà tra i pochissimi che riusciranno a salvarsi. Sempre nel 1963 prende parte al film Sciarada, dove terrorizza una smarrita Audrey Hepburn, invischiata in un misterioso complotto, dopo la morte del marito.

Con Sierra Charriba (1965) di Peckinpah, la sua carriera artistica mutò direzione, grazie anche alla collaborazione professionale e all’amicizia con il regista. Subito dopo fu scelto dal regista Daniel Mann come protagonista di Il nostro agente Flint (1966). Proprio mentre spopolava il mito di James Bond, interpretando l’agente speciale Derek Flint, avventuriero e seduttore, Coburn riuscì a infondere nel personaggio un’originale ironia ed eleganza tanto da non sfigurare, nel confronto, neppure rispetto a Sean Connery. Il successo riportato fece sì che venisse prodotto subito il seguito, A noi piace Flint (1967) con la regia di Gordon Douglas. Per l’attore si aprì un periodo di grandi occasioni in cui emersero definitivamente le sue notevoli qualità espressive.

Il nostro Sergio Leone l’avrebbe voluto nel ruolo del pistolero, poi ricoperto da Clint Eastwood, in Per un pugno di dollari; si rifece nel 1971 chiamandolo come protagonista, insieme a Rod Steiger, per Giù la testa: con un’interpretazione di grande intensità, sottolineata negli sguardi e nei silenzi dai famosi primi e primissimi piani del regista italiano e dalla musica di Ennio Morricone, Coburn si dimostra ampiamente all’altezza della fiducia accordatagli. Ritornò con un’altra indimenticabile interpretazione in Pat Garrett and Billy the Kid (1973), famosa opera di Peckinpah, nel ruolo, crepuscolare e dolente, del vecchio sceriffo Garrett che, ormai al servizio dei latifondisti, non può sottrarsi dal perseguire l’amico Billy the Kid fino alla morte.

I ruoli successivi di Coburn avrebbero ricalcato tale via: il disperato organizzatore di combattimenti di strada ne L’eroe della strada (1975) di Walter Hill; il disincantato sergente tedesco sul fronte russo ne La croce di ferro (1977) ancora di Peckinpah, in cui emergono le sue doti drammatiche. Strettamente legato al western, e comunque abituato a ruoli da duro, Coburn patisce, inevitabilmente, il declino di questo genere e anche, dalla fine degli anni ’70, l’insorgere di una fastidiosa forma di artrite. Dagli anni ’80 lavora prevalentemente in televisione. Il cinema però non lo dimentica. In anni recenti, dopo aver recitato accanto a Bruce Willis in Hudson Hawk – Il mago del furto (1991) e aver interpretato se stesso per Robert Altman ne I protagonisti (1992), è comparso accanto a Mel Gibson in Maverick (1994) e ad Arnold Schwarzenegger ne L’eliminatore (1996).

E nel 1999, per il ruolo di un padre brutale e alcolizzato in Affliction, Hollywood, che non aveva mai pensato a lui nemmeno per una nomination, lo ha premiato con l’Oscar come miglior attore non protagonista; quel premio raggiunto a settant’anni ha avuto tutto il sapore di un meritato riconoscimento alla sua lunga, quarantennale carriera. All`età di 74 anni, James Coburn è stato colto da arresto cardiaco, il 18 novembre 2002, mentre si trovava nella sua casa di Beverly Hills. Ha lasciato la moglie Paula, due figli, Lisa e James jr., e due nipotini.
Appassionato di arti marziali, Coburn era stato allievo del grande Bruce Lee, di cui ebbe l’onore di portare la bara al suo funerale, nel 1973.

«Io ho preso lezioni di recitazione solo perché la mia passione era dirigere, e ritenevo di averne bisogno. Una volta il cinema era una vera professione, oggi vedo molto dilettantismo, sia tra gli attori che tra i registi»

FONTI: Enciclopedia del cinema, Treccani – comingsoon.it – biografieonline


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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

14 pensieri riguardo “James Coburn, il cattivo simpatico”

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