Philippe Leroy, avventuriero e gentiluomo

Il fisico asciutto e atletico, il volto scavato e dai lineamenti decisi, gli hanno permesso di passare senza difficoltà attraverso tutti i generi, dal peplum all’horror, dal thriller alla commedia, anche se spesso in parti di secondo piano. Quasi 200 apparizioni tra film e sceneggiati, ha lavorato con i più grandi nomi del cinema, ma per gran parte del pubblico sarà per sempre il volto di Yanez, l’avventuriero amico di Sandokan, nello sceneggiato diretto da Sergio Sollima per la RAI. E lui era molto affezionato a quel ruolo, perché in qualche modo rispecchiava la sua personalità.

Nasce il 15 ottobre 1930, a Parigi, in una famiglia aristocratica, con sei generazioni di soldati e ambasciatori alle spalle e si distingue fin da giovane per un temperamento focoso e ribelle. Sdegnoso del suo titolo di marchese, a 17 anni si imbarca come mozzo su una nave per l’America alla stregua di un personaggio di Joseph Conrad. Tornato in Francia, entra nella Legione Straniera e va a combattere in Indocina ed Algeria, arruolato come paracadutista. Dall’Algeria torna pluridecorato, ma decide di abbandonare la carriera militare e trovarsi un lavoro. Tornato in patria, esercita diversi mestieri finché, occupandosi della pubblicità della rivista La cinématographie française, ebbe modo di entrare in contatto con il mondo del cinema.

Conobbe così Jacques Becker, che nel 1960 lo scritturò per Il buco, film che segna il suo esordio ufficiale, naturalmente in un ruolo da duro: un detenuto che tenta la fuga dal carcere, un criminale, ma umano e pieno di dignità. Seguirono altre interpretazioni in Francia, ma poi, per ragioni politiche, si vede costretto ad emigrare in Italia, luogo che diventerà la sua seconda casa. Qui incontra l’attore Vittorio Caprioli e, sotto la sua influenza, segue la strada della recitazione, facile sbocco per un temperamento inarrestabile come il suo. Diretto proprio da Caprioli, interpreta Leoni al sole, in cui impersona il giovane rampollo di una ricca famiglia napoletana che fa il vitellone. Da allora l’attore alternò parti di cattivo puro con altre di aristocratico decadente.

Apprezzato molto in Italia e inizialmente snobbato dalla Francia, acquista una certa notorietà anche nella sua terra d’origine grazie al regista Jean-Luc Godard con il film Una donna sposata (1964), in uno dei ruoli più impegnativi della sua carriera. Altri titoli francesi da ricordare sono senz’altro Un uomo, una donna: 20 anni dopo (1986) di Claude Lelouch e il thriller Nikita (1990) di Luc Besson. Nel 1965 ottiene grande popolarità con Sette uomini d’oro, in cui interpreta uno degli audaci svaligiatori di una banca svizzera. Nel ruolo del cervello della banda, a fianco della bellissima Rossana Podestà e di Gastone Moschin, fa del film il campione d’incassi.

Diventa il suo passaporto per un mestiere che non gli assomiglia, ma che lo renderà invece una figura doppia e ricorrente nel cinema italiano: gentiluomo raffinato da una parte, antagonista spietato e crudele dall’altro. In tutti gli anni ’60 interpreta 40 film, sotto la direzione di grandi registi italiani, da Mauro Bolognini (Senilità) a Luigi Zampa (Frenesia dell’estate), e poi Pasquale Festa Campanile (Le voci bianche) e Alberto Lattuada (La mandragola).

La televisione, strumento di consenso popolare, gli offrì nel 1971 la seconda svolta nella carriera: lo convocò Renato Castellani e gli cucì addosso i panni di Leonardo da Vinci nello sceneggiato omonimo. Il ritratto del grande artista fatto dall’attore rimane ancora oggi uno dei più intensi e fedeli alla realtà storica. Il suo temperamento si ricongiunse alla fine, 5 anni dopo, con la professione: nei panni del flemmatico portoghese Yanez, nel Sandokan di Sergio Sollima, divenne una vera star e scolpì un’incarnazione salgariana indimenticabile, amata da 30 milioni di spettatori a puntata.

Grazie al suo fisico e alla duttile capacità espressiva si vide spesso affidare personaggi di forte carisma resi con notevole classe, come il principe che interpreta ne L’attico (1963) di Gianni Puccini e ne Il tango della gelosia (1981) di Steno, o addirittura figure di santi e di religiosi, come S. Ignazio di Loyola in State buoni se potete (1983) di Luigi Magni e Leone XIII in Don Bosco (1988) di Leandro Castellani. Molte volte, invece, è stato scelto per interpretare personaggi crudeli, decisi a distruggere gli avversari.

Così è un maggiore che trasforma con la forza un plotone di ribelli in una macchina da guerra in R.A.S. ‒ Nulla da segnalare (1973); un nazista ne Il portiere di notte (1974) di Liliana Cavani, e un uomo che costringe la moglie a prostituirsi e violenta l’amica del figlio sotto i suoi occhi in Tranquille donne di campagna (1980). Non disdegna anche ruoli scomodi che ampliano la sua già folta schiera di personaggi, spesso rendendoli inquietanti dietro una distaccata facciata di cortesia, come ne L’occhio selvaggio (1967), in cui è un reporter alla ricerca di scoop sensazionalistici, immorale al punto da inventarli quando non esistono nella realtà.

Nel corso degli anni ‘90, oltre a lavorare in televisione, ad esempio nella miniserie Mosè, ha interpretato piccoli ruoli in film come Nikita (1990) di Luc Besson, e Il ritorno di Casanova (1991). Nel 1999 ha partecipato alla commedia Il pesce innamorato di Leonardo Pieraccioni e nel 2001 al drammatico Vajont – La diga del disonore di Renzo Martinelli. Ma è stata proprio la tv a offrirgli i ruoli migliori. Giusto ricordarlo nella miniserie Quo vadis? (1985), Il generale (1987), Elisa di Rivombrosa (2003), L’ispettore Coliandro (2009) e perfino I Cesaroni (2012). Il grande pubblico lo ricorda anche per il ruolo del vescovo nella fiction Don Matteo al fianco di Terence Hill, nella stagione 2008-2009.

Prima di conoscere e sposare Silvia Tortora, Leroy aveva avuto una relazione con la modella Françoise Laurent, negli Anni ‘60. È stata lei a renderlo padre per la prima volta: nel 1963, infatti, è nata la sua prima figlia, Philippine Leroy Beaulieu (foto in alto). Oggi ha 61 anni e ha seguito le orme del padre, costruendosi una carriera nel mondo dello spettacolo.

Nel 1990, Leroy ha sposato la giornalista Silvia Tortora, figlia di Enzo, destando un certo scalpore perché aveva 32 anni meno di lui; la differenza di età, tuttavia, non ha mai rappresentato un problema per loro. Il loro matrimonio è durato oltre 30 anni, durante i quali sono diventati genitori di due figli, Philippe e Michelle, e si è concluso purtroppo con la morte di lei nel 2022. L’attore l’ha raggiunta il 1 giugno 2024, a 93 anni. Con lui se n’è andato il protagonista austero e ironico di una stagione del cinema e della storia.

«Non ho paura della morte: ho avuto una vita fantastica, ho fatto tutto quello che volevo. E poi sarei già dovuto morire almeno 5 volte»

FONTI: Enciclopedia del cinema, Treccani – mymovies – rainews.it – vanityfair.it – fanapage


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Avatar di Sconosciuto

Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

19 pensieri riguardo “Philippe Leroy, avventuriero e gentiluomo”

  1. Sono d’accordo con borderpaolino, è un bellissimo post. Non sapevo tutte queste cose su di lui. Ad esempio, che avesse sposato la figlia di Enzo Tortora. Aveva carisma ed era davvero poliedrico. Mi è piaciuto molto in Sandokan ed in tanti ruoli che ha interpretato.
    Ciao Raffa, grazie, buona giornata.

    Piace a 1 persona

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