Locandine

Le varie tipologie di locandine fotografiche

Il graduale passaggio dall’illustrazione alla fotografia, iniziato negli anni ’70 e completato negli anni ’90, incise molto sulla qualità delle locandine, e le cause furono molteplici. La progressiva diffusione del videoregistratore e la successiva invenzione della tv satellitare e via cavo, che portavano il cinema in casa, alterarono in modo significativo l’affluenza nelle sale cinematografiche e portarono gli studios a investire sui blockbuster in videocassetta. In questa situazione era chiaro che la funzione pubblicitaria della locandina non aveva più rilevanza, mentre nasceva la necessità di attirare l’attenzione lungo gli scaffali delle videoteche, e più tardi dei megastore, concentrando gli sforzi sulle copertine di VHS e DVD.

Inoltre gli sviluppi nella computer grafica e l’invenzione di programmi come photoshop facilitarono molto la produzione dei manifesti: se prima un illustratore aveva bisogno anche di un mese (salvo rarissime eccezioni) per completare l’opera commissionata, ora si potevano creare in poche ore composizioni fotografiche perfette, utilizzando immagini prese dal set.

Questo non significa ovviamente che l’uso della fotografia produca necessariamente locandine sciatte o poco ragionate, anzi, basta guardare le campagne pubblicitarie di pellicole come Pulp Fiction (1994) o The game (1997), dove fotografia e grafica convogliano al massimo l’essenza del film. Molto spesso, però, l’utilizzo della fotografia coincide con la progettazione di locandine banali, con composizioni standard, dove i volti delle star fluttuano su uno sfondo preso dalle scenografie del film. In basso, due esempi del nuovo millennio: Il Signore degli anelli (2002) e Pirati dei Caraibi (2003).

Oggi, purtroppo, siamo arrivati al punto che la maggior parte del pubblico, vedendo un poster illustrato, pensa subito che il film sia vintage o d’animazione. E così ci si trova di fronte a locandine fatte in serie, dalla composizione più o meno identica, dove l’unica differenza sta nei volti dei protagonisti. Negli ultimi decenni, poi, i manifesti sono quasi sempre rientrati in determinate categorie grafiche dettate dal marketing, che hanno ridotto all’osso il lato artistico.

La volta scorsa abbiamo visto che l’immagine dell’uomo di spalle è molto utilizzata ultimamente, soprattutto nelle locandine dei film d’azione. Spesso l’eroe è di tre quarti o addirittura si gira verso lo spettatore, mostrando un’arma; altre volte contempla il mondo di fronte a lui come un enorme ostacolo da superare. Questo tipo di locandina presenta il più delle volte una composizione fotografica di alto livello e il soggetto di spalle diventa poco più di una mera silhouette, con risultati esteticamente belli ed efficaci. Il colore predominante è il blu, che rimanda al mistero e a situazioni di tensione.

Se il blu equivale al film d’azione, l’uso del colore rosso collega immediatamente il film a una componente sensuale o sentimentale. A partire da Rita Hayworth fino ai giorni nostri, l’abito rosso è sempre stato sinonimo di sensualità, tanto che l’ha indossato persino Dustin Hoffman sulla locandina di Tootsie. Ma se l’abito rosso della Hayworth o di Marilyn, per l’epoca, rasentavano la pornografia, negli anni le convenzioni sociali si sono evolute, e ci siamo assuefatti a certi elementi, che di conseguenza hanno perso efficacia. Il rosso ha continuato ad essere un componente grafico molto potente, ma per evocare la sensualità si è dovuto ricorre ad altro.

Si è mantenuto l’elemento rosso, ma questa volta non è più un abito: è una parte del corpo femminile con una notevole carica erotica, il tutto ingigantito e messo in risalto dallo sfondo nero. Il messaggio veicolato da questa tipologia di locandina è che sensualità, e magari erotismo, saranno presenti nel film, in diverse modalità e quantità, anche se la pellicola non è propriamente un film erotico. In altre parole, lasciate a casa i bambini!

Un altro schema riprodotto all’infinito in tantissime locandine utilizza sempre una parte del corpo femminile il cui richiamo è innegabile, anche se molto meno incisivo rispetto al precedente: le gambe. Usate come cornice, racchiudono di solito il titolo del film, su cui attirano così l’attenzione, e spesso anche la figura del protagonista, maliziosamente sitemato in posizione strategica. I glutei sono in vista, a discrezione del designer, ma non sono indispensabili. Questo schema è utilizzato in genere per commedie di tipo adolescenziale o per parodie, in ogni caso indica quasi sempre la presenza di scene di nudo o di sesso più o meno esplicito, spesso abbastanza pecoreccio. Naturalmente fa eccezione James Bond.

Se invece il film parla di una coppia o di una relazione, cosa c’è di meglio che raffigurare lui e lei a letto? Rimane l’implicazione sessuale che vende bene qualunque prodotto, purtroppo, ma è anche una banalizzazione del film stesso, mentre lo scopo di una locandina dovrebbe essere esattamente il contrario. Da questo cliché si distingue per originalità il manifesto di Shame, di Steve McQueen, a destra nella foto: con un’evoluzione semplicissima, ma di gran classe, mostra soltanto un letto vuoto e disfatto. Il film racconta la storia di un uomo ossessionato dal sesso, che consuma la sua vita tra continui rapporti occasionali, nell’incapacità di provare sentimenti.

Un altro cliché fortemente abusato, se il film è incentrato su una coppia, è l’immagine di lui e lei appoggiati di spalle. Di solito indica che nella storia ci sarà qualche contrasto, almeno all’inizio, qualche difficoltà e magari un’iniziale antipatia, ma il lieto fine è scontato. Praticamente questa locandina è uno spoiler…

Anche la panchina è un elemento diventato nel tempo banale. Si sostituisce al letto nelle storie di coppia, eliminando le implicazioni sessuali, e nello stesso tempo aggiunge un contesto urbano e romantico, naturalmente se i personaggi sulla panchina sono due: può parlare di amicizia o di complicità tra i protagonisti. Nel caso in cui il personaggio sulla panchina sia uno solo, evidenzia la solitudine del protagonista o il suo essere speciale, diverso dalla moltitudine, se non addirittura unico, come nel caso di Forrest Gump.

Per il genere horror, l’occhio funziona sempre, corredato di particolari raccapriccianti e sanguinolenti. Non anticipa niente della trama, per fortuna, ma qualifica il genere, perché non ci siano dubbi sul tipo di film che si sta per vedere. Anche in questo caso, meglio lasciare a casa i bambini.

Gli occhi sono lo specchio dell’anima. Se mostrandoli in primo piano possono fare paura, coprendoli si crea un senso di mistero, inganno, incertezza da cui scaturiscono ansia e disagio. La soluzione perfetta per film che giocano soprattutto sull’arcano, spesso su eventi soprannaturali o comunque inspiegabili.

Sempre focalizzandosi sullo sguardo, questa volta la locandina usa un bel riflesso sugli occhiali. Non è caratteristica di un genere in particolare, ma ugualmente molto usata, tanto da far dimenticare la sua indubbia scaltrezza e l’iniziale originalità. Anziché limitarsi al volto del protagonista, basta inserire un dettaglio nel riflesso, che può essere un contesto storico, geografico, un nemico o altro, ed ecco che si dà maggior profondità al significato del poster. Ad esempio, nella locandina in alto a sinistra, se togliamo il riflesso abbiamo solo DiCaprio con gli occhiali, ma grazie al riflesso del cielo, ecco che diventa un pilota di aerei. Nel caso di Matrix reloaded il riflesso crea un gioco di specchi che sottolinea il tema del film. Particolarmente originale la locandina di Compulsion, che utilizza proprio il riflesso per mostrare alcuni dei protagonisti.

Cosa qualifica i film d’azione? Il movimento naturalmente. I manifesti dovranno quindi trasmettere agitazione e caos, ma anche desaturare i colori per trasmettere grinta. Molti franchise di grande successo continuano a utilizzare soprattutto il bianco e il nero come toni dominanti in questa tipologia.

Se all’azione vogliamo aggiungere la suspense, la locandina mette in primo piano il protagonista che corre, solitamente in un contesto urbano e caotico. E’ la metafora dell’uomo in fuga, non importa da cosa. Ultimamente è la scelta più gettonata per i thriller: d’obbligo una fredda tonalità di blu, che trasmette tensione, e spesso un’angolatura leggermente inclinata.

Gli stessi colori scuri prevalgono nelle locandine dedicate ai supereroi, ai quali piace molto accovacciarsi sui palazzi e osservare cupamente la città dall’alto. Rigorosamente di notte, alla luce della luna, e con cieli molto nuvolosi. Anche qui troviamo spesso l’angolatura inclinata. Da notare come la fama del personaggio, nella locandina a destra, non richieda neppure di evidenziare il titolo.

Persino questo tipo di manifesto, che è particolarmente estroso e gradevole a vedersi, ha finito per inflazionarsi. Il concetto di base è quello di un volto umano costituito di più elementi caratterizzanti: geniale quello di Jim Carrey, formato da tanti fotogrammi del film, significativo quello di Nicolas Cage creato da un insieme di munizioni, e originale anche quello di Russell Crowe, formato da foto, appunti e mappe stradali. Indubbiamente sono belle come locandine, ma dopo che lo hai visto fare mille volte, il trucco perde la sua efficacia.

∞●∞●∞

La prossima volta vedremo come vengono usati e abbinati alcuni colori e come sono disposti i singoli elementi nella composizione di una locandina.

Indice della rubrica Locandine

FONTI: Alessandra Rostagnotto, Dal manifesto pubblicitario al poster da collezione – cinefacts.it – ilcineocchio.it

Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

9 pensieri riguardo “Locandine”

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I'm a Supergirl and Supergirls don't cry ...

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