Gene Tierney, la bellezza senza sorriso

Dotata di bellezza e sensualità travolgente, sguardo misterioso, fotogenica come poche altre. Divenne, poco più che ventenne, una delle dive hollywoodiane più apprezzate degli anni ’40, soprattutto grazie alla sua particolare bellezza e alla capacità di adattarla a ruoli di diverso tipo.
Il suo nome completo era Gene Eliza Tierney. Nasce a New York il 19 novembre 1920, da famiglia facoltosa, e dopo gli studi superiori in Svizzera rientra negli Stati Uniti e frequenta una scuola teatrale nel Connecticut, per poi esordire sui palcoscenici di Broadway nel 1939.

Nel cinema, deve la sua carriera al produttore Darryl Zanuck, il quale intravede nell’attrice il giusto temperamento drammatico e quindi la donna ideale per film di carattere tenebroso. Decise quindi di metterla sotto contratto con la 20th Century Fox, dove rimase per quasi tutta la sua carriera. Di lei Zanuck dirà: “Nei miei lunghi anni di carriera per il cinema, non ho mai visto un’attrice più bella di lei. Con una sola pecca: è priva di sorriso”.

Il vendicatore di Jess il bandito (1940)

Il suo primo film fu un western diretto da Fritz Lang, Il vendicatore di Jess il bandito (1940). Lang, insoddisfatto, dopo averla maltrattata duramente, voleva sostituirla, ma Henry Fonda riuscì a mantenerla nel ruolo per tutta la lavorazione, salvandole probabilmente la carriera, poiché un giudizio negativo espresso da una persona come Lang avrebbe potuto essere decisivo.

Il cielo può attendere (1943)

Negli anni ’40 è protagonista in numerosi film noir, diretta sempre da registi di punta e, tra questi, Otto Preminger, con il quale stringe un rapporto di solida amicizia. Fu interprete di alcuni film diretti dai maggiori registi del periodo che ottennero un notevole successo, come Il cielo può attendere (1943) di Ernst Lubitsch e Vertigine (1944) di Otto Preminger. Dotata di un fisico snello, ma forte e atletico, che le permise in più di un’occasione di comparire in costume da bagno in ruoli di abile nuotatrice, la sua principale caratteristica rimane il suo volto particolarissimo, che alla classe e all’eleganza dei lineamenti associava un’asimmetria del movimento della bocca, quasi impercettibile.

Femmina folle (1945)

Questo particolare attributo, che accentuava i tratti di una bellezza disorientante, risultò soprattutto adatto per ricoprire il ruolo di isterica o addirittura di squilibrata, come quello sostenuto in una delle sue interpretazioni più note, Femmina folle (1945), dove recita la parte di una donna che lascia annegare il cognato disabile e poi uccide il figlio che ha in grembo, due eventi ferocemente singolari, resi con estrema partecipazione emotiva.

Sinhue l’egiziano (1954)

Dimostrando evidenti doti di versatilità interpretò in varie occasioni la figura dell’orientale o della mezzosangue, ruoli in cui veniva valorizzato il taglio a mandorla dei suoi occhi, riuscendo sempre a essere credibile. Un altro ruolo riproposto più volte dall’attrice fu quello della ragazza di buona famiglia, o comunque determinata a elevarsi socialmente, un po’ misteriosa e a volte glaciale e spietata, tipico di alcuni film noir.

Vertigine (1944)

Estremamente convincente risultò infatti in Vertigine di Preminger, dove interpreta un’arrampicatrice sociale, torbida e innocente al contempo, che sfrutta il suo fascino per manovrare gli uomini. Riuscì comunque a non rimanere intrappolata in questi personaggi e ad affrontare generi diversi. Recitò quindi nel melodramma Il filo del rasoio (1946) di Edmund Goulding, nel film di ambientazione gotica Il castello di Dragonwyck (1946) di Joseph L. Mankiewicz, e nella commedia fantastica Il fantasma e la signora Muir (1947), ancora per la regia di Mankiewicz, in cui interpreta con grazia una giovane vedova destinata a innamorarsi del fantasma di un burbero, ma affascinante capitano, interpretato da Rex Harrison.

Il fantasma e la signora Muir (1947)

A causa di un forte esaurimento nervoso, probabilmente determinato dalla malattia della figlia affetta da ritardo mentale, tenta più volte il suicidio. A questo si aggiunge il fallimento del primo matrimonio con Oleg Cassini. Profondamente influenzata dal mondo del cinema hollywoodiano così tragicamente totalizzante, risultò fragilissima di fronte all’avanzare del tempo. Nel 1950 si sottopone volontariamente a una cura antidepressiva trattata direttamente all’interno dell’Institute of Living, celebre ospedale psichiatrico di Hartford.

La mano sinistra di Dio (1955)

Si riprende in parte, ma nel 1955, lascia improvvisamente il set de La mano sinistra di Dio. Due anni dopo è ricoverata d’urgenza alla clinica psichiatrica Menninger di Topeka nel Kansas, dove rimane ricoverata per 12 mesi; poi lascia il lavoro per 7 anni, dal 1955 al 1962. Al rientro, si dedica sporadicamente alla televisione e interpreta alcuni film di routine, non certo all’altezza del suo carisma e della sua carriera.

Tempesta su Washington (1962)

Solo in Tempesta su Washington (1962), diretta da Otto Preminger, riesce a tirar fuori ancora una volta le sue doti di ottima attrice, ma appare irriconoscibile: una distinta signora di mezz’età dai lineamenti segnati e dal volto ormai sfiorito. L’ultima apparizione sugli schermi è del 1964 in Mentre Adamo dorme, di Jean Negulesco.

Nel 1979 aveva scritto un’autobiografia, Self-portrait, in cui con grande sincerità raccontava la sua non facile vita di donna e di attrice. Si ritira definitivamente nel 1981, dopo la perdita del secondo marito che la fa piombare ancora una volta in uno stato depressivo acuto.
Muore il 6 novembre 1991, a causa di un enfisema polmonare.

«Il mio allontanamento da Hollywood è stato descritto come snobismo. Nessuno ha capito che stavo letteralmente crollando»

FONTI: Enciclopedia del cinema, Treccani – cinekolossal

Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

13 pensieri riguardo “Gene Tierney, la bellezza senza sorriso”

  1. Non la ricordo come non riv8rdo nessun film da te menzionato, però che destino era profondamente infeluc3 3 nessuno s3 ne era mai accorto… il più delle volte si dà per scontato che essere belli come anche o solo ricchi sia un simbolo di felicità e poi nella stra maggioranza della realtà e nel mondo dello spettacolo specialmente, è l’esatto contrario. Buon proseguimento di serata cara Raffa 🌹

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