Sotto accusa (1988)

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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

15 pensieri riguardo “Sotto accusa (1988)”

  1. Un capolavoro che considero formativo per la mia adolescenza e che dovrebbe essere trasmesso in TV almeno una volta al mese, perché come spiega la questione questo film non la spiega nessuno. Si preferisce ammantare il tutto di morale spicciola e di psicologia da quattro soldi, invece “Sotto accusa” prima ti prende a calci, in modo da avere la tua attenzione, e poi ti spiega a bastonate.
    Quando l’ho visto la prima volta, all’epoca della sua uscita italiana, in cui venne molto pubblicizzato, ero un maschio 16enne che veniva dal decennio degli anni Ottanta in cui nei film era normale che le segreterie se la facessero con il capo e altri comportamenti poi giustamente condannati. Erano tempi in cui si sa che “funziona così”, che “eh, ma quella se l’è cercata”, “certo che se ti vesti così…”, “certo che se frequenti quei locali…” Il film è coraggioso perché Jodie Foster viene presentata con tutti i “difetti” che la concezione dell’epoca affibbiava alle vittime: è provocante, è brilla, frequenta un luogo sbagliato e fa cose sbagliate. In modo che così sia chiaro fino all’ultimo spettatore che malgrado tutto questo ha diritto a non essere stuprata. E che un no è un no. Non ci sono le blurred lines della vergognosa canzone omonima.
    La parte del processo la considero splendida perché dimostra l’atteggiamento di un’epoca verso le vittime, che se la sono cercata: il processo del film è un processo a tutti gli spettatori, che hanno dato per scontato che uno stupro possa essere giustificato in un qualsiasi modo. A tutti quelli che vedendo una giovane donna ballare provocante in un locale abbiano pensato che poi uno stupro fosse giustificato. E all’epoca questi argomenti erano assolutamente inediti, o comunque senza alcuna enfasi, visto che si scambiava la vittima per il carnefice. Un gran bel film, senza moralismi da due soldi (come usa oggi) e banalità sparse: duro, preciso, tagliente. Efficace.

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      1. Non ricordo se ho visto il film in TV o in videocassetta (all’epoca in famiglia ne noleggiavamo a secchiate!) ma ricordo la profonda rabbia che m’ha lasciato addosso. La vittima che viene guardata con disprezzo (perché “se l’è cercata”) e viene umiliata in tribunale non era qualcosa che all’epoca si vedesse. Poi sarebbero arrivate le grandi serie legal thriller e questo tema sarebbe stato affrontato spesso, ma all’epoca di “Sotto accusa” il legal thriller era ancora in “Fase Perry Mason”, cioè sotto zero 😀
        Poi sarebbero arrivati “Verdetto finale” (1989) con un titanico James Woods e il tostissimo “Music Box” (1989) con Jessica Lange a rendere il legal thriller grande protagonista dei Novanta, con trame complesse argomenti scabrosi: prima al massimo in TV c’erano gli “Avvocati a Los Angeles” (1986) con i loro clienti fighetti e ricchi. Una ragazza povera umiliata in tribunale perché “si è fatta stuprare” era qualcosa di enorme e potente, che non denunciava solo certi atteggiamenti maschili, ma certi modi di pensare di tutti, donne comprese! Un film universale, che è un peccato non venga replicato quanto dovrebbe.

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  2. Il dibattito sul mostrare o non mostare lo stupro in questo genere di film esiste più o meno da quando esiste il genere rape and revenge. Lipstick, per esempio, fu massacrato per la sua lunga ed esplicita scena di stupro ai danni di Margaux Hemingway. Questo film che hai recensito sembra superiore e non pare usare le immagini solo per darle in pasto alle fantasie maschili (di uomini repressi, aggiungo) per fare soldi al botteghino.

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    1. No, tutt’altro. La scena è funzionale alla discussione del tema, serve a scioccare. Non credo che nessun maschio, represso o meno, possa eccitarsi guardandolo, e i commenti che ho letto me l’hanno confermato.

      Piace a 1 persona

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