“Il cinema per me viene prima di ogni cosa, anche prima della vita”. Sono parole del regista francese, che davvero ha dedicato tutta la sua esistenza a questo mestiere affascinante. E’ stato regista, ma anche sceneggiatore, produttore, attore e critico cinematografico. Protagonista del cinema d’Oltralpe dalla fine degli anni ’50 ai primi anni ’80, insieme a Chabrol, Godard, Rivette e Rohmer, diede vita alla Nouvelle Vague, una nuova corrente cinematografica che derivava direttamente dal nostro Neorealismo.
Accanito frequentatore di cineteche fin dalla prima giovinezza, in seguito apprezzato critico su Ars e su Cahiers du Cinéma, una delle più prestigiose riviste di cinema francesi, Truffaut ottenne il primo grande successo a 27 anni con I quattrocento colpi, trionfatore al festival di Cannes del 1959.

L’attore protagonista del film, l’allora quattordicenne Jean Pierre Léaud, era destinato a diventare l’attore preferito di Truffaut, il suo vero e proprio alter ego: nel corso dei vent’anni che seguirono il regista girò infatti altri 4 film che furono quattro puntate a sfondo autobiografico sulla vita di Antoine Doinel, il ragazzino de I quattrocento colpi. In essi vengono infatti descritti momenti cruciali del suo sviluppo psicologico, e l’attore che lo interpreta è sempre lo stesso Léaud.

Attore e personaggio sono quindi, per così dire, cresciuti insieme davanti al pubblico, ed è un caso praticamente unico nella storia del cinema. I film di cui si parla sono: Amore a vent’anni del 1962, Baci rubati del 1968, Non drammatizziamo, è solo questione di corna del 1970, e infine L’amore fugge uscito nel 1979.

Oltre al ciclo Doinel, Truffaut ha girato numerose altre pellicole, tra cui il celeberrimo Jules e Jim, con Jeanne Moreau, storia di un triangolo amoroso, che all’epoca fece scandalo, Fahrenheit 451, tratto dal racconto di fantascienza di Ray Bradbury, e poi La sposa in nero, sempre con Jeanne Moreau, Il ragazzo selvaggio, Adele H., Gli anni in tasca.

Nel 1972, in Effetto notte, il regista ha dedicato un commosso omaggio proprio al mondo del cinema, raccontando con tanto affetto e altrettanta ironia, ciò che avviene durante la lavorazione di un film. In quest’occasione, Truffaut ha anche recitato, impersonando se stesso.
Nella nuova veste di attore è apparso anche nel film di Spielberg Incontri ravvicinati del terzo tipo, del 1977 e in altri due suoi film, Il ragazzo selvaggio e La camera verde, che segna la sua ultima apparizione insieme sullo schermo e dietro la macchina da presa. In altri suoi film precedenti aveva ogni tanto partecipato con una semplice apparizione, così come era solito fare Hitchcock nelle proprie pellicole.

François Truffaut ha nutrito una grande passione per i film di Hitchcock e, insieme a Chabrol e ad altri amici del Cahiers du Cinéma ha avuto il merito di far rivalutare e apprezzare l’opera del regista britannico tanto in Europa quanto in America, dove da sempre era stato trattato dalla critica con sufficienza, nonostante gli enormi successi di pubblico.

Truffaut pubblicò un libro, costituito da una lunga intervista fatta al maestro del brivido, dalla quale emerge il ritratto di un fine regista, attentissimo alla narrazione visiva, e di un uomo assai fragile che si cela dietro un apparente cinismo nei confronti della vita reale. L’intervista (che diventa man mano sempre più un dialogo tra il giovane regista e l’anziano maestro) tratta analiticamente ciascun film di Hitchcock e ne mette in luce le innovazioni tecniche, i particolari più nascosti, le invenzioni di sceneggiatura e, talvolta, anche i difetti.

Truffaut s’innamora, come gli spettatori, di tutte le protagoniste dei suoi film, che lancia verso il successo e la fama. Fece eccezione a questa regola la sola Isabelle Adjani protagonista di Adele H.. Ne L’ultimo metro del 1980 ritroviamo Catherine Deneuve, che aveva già recitato ne La mia droga si chiama Julie del 1969. Il suo ultimo amore fu Fanny Ardant che recitò ne La signora della porta accanto del 1981, e in Finalmente domenica del 1983. Da lei ebbe una figlia, Joséphine, il 28 settembre 1983.

Nel marzo dell’anno dopo il regista, ammalatosi di tumore al cervello, fu operato tardivamente, e morì a soli 52 anni, il 21 ottobre 1984 nell’Ospedale Americano di Parigi. Fu cremato e le sue ceneri riposano al cimitero di Montmartre a Parigi.

«Fare un film significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, significa prolungare i giochi dell’infanzia»
FONTI: Enciclopedia del cinema (Rusconi editore) – wikipedia
Ricordo Jules et Jim, ma è passato troppo tempo. Il cinema francese ha sfumature molto più ‘psicologiche’ rispetto a quello, ad esempio, americano.
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Sicuramente, che a volte possono anche risultare un po’… noiose.
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Soporifere, per i non fransé 😂
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Esatto, oppure devi essere nella giusta disposizione d’animo.
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Questo vale un po’ per tutti i film ed anche musica e libri.
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Faceva film per cuccare.
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In pratica sì. 🙂
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Qualunque fosse la ragione per cui faceva film, come li faceva lui nessuno.
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Si vedeva la passione che ci metteva, a parte qualunque battuta.
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adoro adoro questo uomo! era unico e scusatemi ma i suoi film anche quelli meno riusciti erano fantastici, c’è vita nella sua scrittura cinematografica, c’è pensiero c’è cuore! mi spiace se ne sia andato così presto! grazie carissima per questo post bellissimo!
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In effetti è stato rubato alla vita e al cinema, purtroppo.
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sì esatto!
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Io non sono mai riuscita a guardare “Fahrenheit 451” fino alla fine. Quello credo sia l’unico suo film che mi sono ritrovata a guardare. Il cinema francese in generale non mi coinvolge. Forse è un limite mio…
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E’ un film molto particolare, e in generale il cinema di Truffaut. Se ti capita (ma sarà difficile) Effetto notte, potrebbe piacerti.
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Se ci sono scene in cui si simula un temporale mi sa che ce l’hanno fatto vedere alle medie. Ho ricordi vaghi. Se capiterà lo guarderò. 🙂
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Sì, deve essere quello.
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