Come promesso, riparliamo del romanzo The executioners di John MacDonald, nella sua seconda trasposizione cinematografica, dopo Il promontorio della paura (1962). La trama rimane sostanzialmente invariata, anche se con qualche differenza di non poca rilevanza.
Max Cady, il terribile protagonista, è un ex detenuto che dopo aver passato 14 anni in penitenziario è deciso a vendicarsi nei confronti dell’avvocato, colpevole della sua condanna. Si scopre infatti che l’avvocato Bowden, che aveva assunto la sua difesa, in realtà aveva nascosto una prova importante che ne avrebbe determinato l’assoluzione, riuscendo così a perdere volontariamente la causa. Lo aveva fatto per evitare di mettere in libertà un individuo a dir poco pericoloso per la società, ma facendolo, aveva violato tutti i doveri etici e legali di un difensore nei confronti del proprio cliente.
E fin qui abbiamo già due differenze rispetto al film originale: intanto gli anni scontati da Cady sono 14 invece di 8, e questo non può che rendere l’ex galeotto ancora più incattivito e desideroso di vendetta. Inoltre l’avvocato Bowden, che nell’originale era stato un testimone a carico nel processo contro Cady, qui invece è il legale che lo aveva difeso, e ne aveva determinato la condanna con la propria decisiva negligenza.
In sostanza, mentre nell’originale Cady se la prendeva ingiustamente con un testimone che lo aveva fatto condannare, dicendo la verità, nel remake Max Cady, pur essendo indiscutibilmente un personaggio negativo, ha in qualche modo ragione, e cerca vendetta per un’ingiustizia effettivamente subita, il che gli attira, sia pur brevemente, le simpatie dello spettatore. Bowden è contravvenuto all’etica professionale di tutela del cliente: dal suo discutibile punto di vista Cady ha legalmente ragione.

La differenza tra i due film si gioca soprattutto nella scelta degli interpreti. Il Cady di Mitchum era impregnato di quel fascino del male che ha contraddistinto tanti miti del cinema classico, fatto di gesti e sguardi che davano i brividi, sottolineati da una lentezza a volte esasperante, che era già in sé attesa del peggio, e spaventava ancor più nella minaccia che nella realizzazione.
Il Cady di De Niro è un ammasso di muscoli e tatuaggi, che intimorisce certo, spaventa e disgusta, ma lo fa in modo grossolano, con effetti facili e volgari. Mentre Mitchum aveva lavorato sulle sfumature del suo personaggio, De Niro si abbandona ad una più semplice interpretazione violenta e selvaggia.

Bisogna anche tenere conto della censura che all’epoca del primo film ne aveva fortemente condizionato la trama, eliminando tutti i richiami di natura sessuale, presenti nel romanzo di MacDonald. Mitchum aveva quindi dovuto trattenere il proprio personaggio, misurandone smanie e atteggiamenti, mentre De Niro può rappresentare la violenza di Cady in tutti i suoi aspetti più esplicitamente sensuali e brutali.

E qui veniamo ad altre rilevanti differenze rispetto al film del ’62. Mentre la famigliola di Peck era una perfetta famiglia della medio borghesia americana, di cui lui era l’orgoglioso capofamiglia, onesto, saggio e virtuoso al limite dell’inverosimile, la famiglia Bowden del remake di Scorsese è altamente disfunzionale, con una moglie viziata e annoiata e una figlia che non sopporta i genitori e odia i loro continui litigi.

Jessica Lange interpreta tutta la sensualità di questa moglie moderna e indipendente, ben lontana dalla figura femminile tipica degli anni ’60, mentre la vera rivelazione del film è una bravissima e sensualissima Juliette Lewis, che rappresenta tutta la malizia di una moderna adolescente in cerca di guai. Esemplare la scena in cui Cady avvicina la ragazza, fingendosi un insegnante e seducendola in modo inquietante.

Sia la figlia che la moglie di Bowden subiscono il fascino perverso di Cady, frantumandosi tra attrazione e repulsione. Altro episodio che nell’originale non c’era, è lo stupro dell’amante di Bowden, la sua giovane assistente legale, interpretata da una più che convincente Ileana Douglas. Con esso si delinea non solo la personalità deviata e violenta di Cady, ma anche quella di Bowden, che non è solo sleale come avvocato, ma anche come marito, e si rivela quindi un uomo bugiardo e infedele.

In questo senso Nick Nolte dà corpo e volto all’ambiguo personaggio di Scorsese, che si allontana decisamente dalla figura del classico americano medio interpretato da Peck. Mentre quest’ultimo era un eroe ingiustamente perseguitato dal violento ex galeotto, Nolte è sì una vittima, ma molto meno innocente, e dalla coscienza tutt’altro che pulita.


Per il resto il film si snoda, come l’originale, in un crescendo di tensione e violenza, molto più fisica che psicologica, che culmina nel duello finale a Cape Fear, dove il cattivo soccombe in maniera truculenta, ben lontana dalla fine che aveva fatto il suo omologo, che nel film originale veniva consegnato alla giustizia per pagare il fio delle sue colpe. Si può dire in fondo che Cady, pur perdendo, vince, essendo riuscito a smascherare tutta l’ipocrisia e la fragilità di rapporti dei suoi avversari.

Da segnalare che i due grandi protagonisti del primo film, Mitchum e Peck, compaiono anche nel remake in due deliziosi cameo. Invecchiati, ma sempre in gran forma, hanno modo di mostrare tutto il loro intramontabile fascino.


Nel complesso il film di Scorsese è certamente di gusto molto più moderno e innovativo rispetto al classico di Thompson, e forse riesce anche a rispecchiare maggiormente lo spirito del romanzo d’ispirazione, soprattutto grazie alle libertà espressive che la nuova Hollywood concede ampiamente ai cineasti. Sicuramente è anche migliore l’approfondimento dei personaggi di contorno, moglie e figlia di Bowden su tutti, che nell’originale rimanevano decisamente in secondo piano.
In realtà i due film sono troppo segnati dalla differenza dei tempi per essere seriamente confrontati, divisi dal gusto di un’epoca ormai passata e dal desiderio di sperimentazione di Scorsese. Tuttavia il fascino del bianco e nero con le sue atmosfere noir, dal taglio Hitchcockiano nel montaggio e nelle scenografie, per quanto mi riguarda vince decisamente sulla violenza pulp che prende di sorpresa lo spettatore, togliendo però il gusto di una suspense sapientemente dosata.
Beh, un bel confronto… all’americana! 🙂
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li ho visti tutti e due e concordo in tutto con te! senza nulla togliere al remake di scorsese, il fascino del BW fa la sua parte e poi ho un debole per Mitchum che credo sia una delle facce uniche nel mondo del cinema!
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Bene, mi fa piacere che tu sia d’accordo. Mitchum piaceva molto anche a me.
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sì un viso che non si dimentica
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Aveva più personalità di tanti bellocci di oggi.
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assolutamente! son pochi gli attori uomini che hanno oggi carisma!
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Buon giorno 2
Viva la personalità.
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Conta molto, secondo me.
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Anche secondo me, infatti ho scritto viva
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L’avevo capito, era solo per ribadire. Dormito stanotte?
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Mamma mia una storia bellissima.
Sia l’originale che il remake.
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Molto drammatico.
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Certo.
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Bell’analisi, complimenti!
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Grazie, è un po’ di parte, ma è inevitabile.
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Beh, però leggendola mi hai fatto vedere, e capire, molte cose da una prospettiva diversa 😉
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Grazie, è un bel complimento.
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Vedi quante prospettive si aprono a leggere delle buone recensioni. Grazie Raffa 😉
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Grazie a te!
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Sei proprio brava 👍
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🙂
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Stuzzicato dal tuo precedente post, finalmente dopo anni di tentennamenti ho iniziato a leggere il romanzo di MacDonald. Sono all’inizio ma è già di uno stile diverso da entrambi i film, anche se più simile al primo. Malgrado sia pelato, Max Cady non posso pensarlo se non con gli occhi crudeli di Mitchum da cui traspare la violenza controllata, malgrado l’attore risultasse comunque più “pulito” rispetto al volgare ex galeotto rozzo del romanzo.
Ora che hai fatto il confronto fra i due film, dovresti proprio completare l’opera vedendoti “Fatal Instinct” (1993), una commedia a cui sono molto legato e che all’epoca fuse in modo geniale vari successi al botteghino: “Basic Instinct”, “A letto col nemico” con la giovane Julia Roberts e “Il promontorio della paura”. Ti assicuro che James Remar nei panni di Max Cady è assolutamente perfetto ^_^
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