Edward G. Robinson, la fortuna di non essere bello

Il suo volto e il suo nome rimarranno legati per sempre a ruoli di gangster violenti e istintivi fino alla follia, ruoli da lui vissuti con grande intensità. Potenzialmente limitato dai marcati tratti fisici, Robinson seppe invece imporsi come ‘re del crimine’ nella Hollywood degli anni Trenta, primo gangster dell’era del sonoro. Raffinato attore di composizione, riuscì in seguito a distaccarsi dalle caratterizzazioni degli esordi, cimentandosi in ruoli di ogni sorta, sempre venati da un sottile quanto amaro umorismo, dando prova di un talento eclettico. La sua lunga carriera venne nobilitata dall’incontro con alcuni dei più grandi registi dell’epoca tra cui Michael Curtiz, John Ford, Howard Hawks, John Huston e Fritz Lang.

Il suo vero nome era Emanuel Goldenberg. Nasce a Bucarest, il 12 dicembre 1893, da una famiglia di origini ebraiche, appartenente alla media borghesia rumena, che dieci anni dopo la sua nascita si trasferisce negli Stati Uniti. Finito il college, rinunciò ben presto all’idea di studiare da avvocato o da rabbino e si iscrisse alla Columbia University. Nel 1913 vinse una borsa di studio presso l’American Academy of Dramatic Arts, cambiò il suo nome e iniziò a studiare recitazione. Fu in teatro che Robinson ottenne i primi successi e affinò la sua gamma d’interprete per quindici anni, ma al cinema riuscì a imporsi solo con l’avvento del sonoro.

I gangster interpretati nei primi film gli ottennero un contratto con la Warner Bros: fu il preludio al grande successo di Piccolo Cesare, di Mervyn LeRoy, del 1931. La parte di Rico nel film di LeRoy gli fece cambiare vita: interpretando il gangster italiano, riuscì a mostrare la scalata e la caduta di questo criminale. Il pubblico apprezzò così tanto la sua interpretazione che lo intrappolò per sempre in questo ruolo. L’attore non capì, però, le ragioni di tanto successo, e le attribuì alle analogie con la tragedia greca dicendo: “Rico è un uomo che sfida la società e alla fine è travolto dagli dei e dalla società, senza neppure rendersi conto di quello che è successo. Penso che il film abbia avuto successo nel corso degli anni perché era costruito come una tragedia greca”.

In seguito, sempre con LeRoy interpretò altri noir, in cui vestì tra l’altro i panni di un condannato alla pena capitale. Successivamente cercò di sdrammatizzare il suo personaggio di criminale, riconducendolo a una dimensione più lieve, dai toni fortemente ironici, ne Il piccolo gigante (1933).  Il suo capolavoro in questo senso fu Tutta la città ne parla (1935), di John Ford. In esso Robinson riuscì a rappresentare con classe e finezza due personaggi di opposta natura: un criminale e il suo ignaro e onesto sosia.

In piena Seconda guerra mondiale si impegnò nel sostenere le truppe statunitensi, intervenendo in numerosi programmi radiofonici. Ebbe però anche l’occasione di recitare in alcuni dei suoi film più riusciti. Lavorò infatti con Wilder ne La fiamma del peccato (1944), capolavoro noir in cui è un assicuratore che indaga sulla misteriosa morte di un cliente, e nel 1945 in due noir diretti da Lang, La donna del ritratto e La strada scarlatta.

In essi Robinson costruì un inedito e convincente ritratto di tranquillo borghese statunitense che viene travolto da intrighi molto più grandi di lui. Fronteggiò quindi, nelle vesti di un detective governativo, il criminale di guerra interpretato da Orson Welles nel film Lo straniero (1946), diretto dallo stesso Welles, e poi tornò a un ruolo da gangster ne L’isola di corallo di Huston. Nel periodo del maccartismo venne messo in disparte dal cinema hollywoodiano perché sospettato di attività antiamericane.

Nel corso degli anni Cinquanta continuò comunque a imporre la sua magnetica presenza sempre in film con protagonisti criminali di ogni sorta, ma prese anche parte al kolossal I dieci comandamenti (1956) di Cecil B. DeMille e alla commedia amara Un uomo da vendere (1959) di Frank Capra. Nel decennio successivo da ricordare le sue interpretazioni nel thriller Intrigo a Stoccolma (1963) di Mark Robson e nel western atipico L’oltraggio (1964) di Martin Ritt, entrambi accanto a Paul Newman, nonché la bella prova offerta in Cincinnati Kid (1965) di Norman Jewison, nel ruolo del migliore giocatore di poker d’America, al fianco di Steve McQueen.

La carriera di Robinson si chiuse in maniera scura, con un’ultima partecipazione girata solo pochi giorni prima di morire: nel film 2022: i sopravvissuti (1973), nel quale interpretava un vecchio depresso e amareggiato, che decide di suicidarsi per sfuggire all’apocalittico futuro del mondo in cui vive; la scena della sua morte avviene di fronte al protagonista, Charlton Heston, che piange silenziosamente. Quelle lacrime erano vere: Heston infatti era l’unico a sapere in quel momento che Robinson era affetto da un tumore in fase ormai terminale. Morirà due settimane dopo la conclusione del film, il 26 gennaio 1973, a 79 anni.

A poche settimane dalla morte, l’Academy, quasi per scusarsi di non aver mai citato Robinson neanche per una nomination, decise di insignirlo con un Oscar speciale alla memoria, per il suo lungo e straordinario contributo alla storia del cinema americano.

Uomo di grande cultura, aveva un grande interesse per l’arte, di cui fu appassionato collezionista: alla sua morte lasciò un patrimonio valutato attorno a 2.500.000 dollari, in gran parte costituito da rare opere d’arte, collezionate con amore durante tutta la sua vita.

«Mi dispiace di non essere stato un po’ più alto o almeno un po’ più bello. Ma se così fosse stato, forse non avrei raccolto il successo che ho avuto»

FONTI: Enciclopedia del cinema, Treccani – cinekolossal





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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

21 pensieri riguardo “Edward G. Robinson, la fortuna di non essere bello”

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