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Carnage (2011)

Un film claustrofobico, fatto di dialoghi e di attori, tutti bravissimi a riprodurre emozioni e a suscitarne nello spettatore. Un unico protagonista: la natura umana in tutti i suoi aspetti, vista attraverso le interazioni dei quattro personaggi, con i loro difetti e le loro debolezze.
Tratto da un’opera teatrale, di cui conserva necessariamente la struttura, il film parte da un antefatto avvenuto in un parco pubblico, una lite tra due bambini, ma si svolge interamente tra le mura domestiche, all’interno di un’abitazione che diventa teatro di una vera e propria carneficina senza spargimento di sangue, ma non per questo meno violenta e spietata.

Ethan e Zachary, entrambi undicenni, litigano aspramente come spesso fanno i ragazzini, finché Zachary afferra un bastone e colpisce l’altro sul volto, facendogli perdere un dente. Questo l’antefatto, ma la scena si sposta immediatamente a casa dei Longstreet, genitori della vittima, che hanno deciso di ospitare i Cowan, genitori di Zachary, per discutere civilmente di quanto è successo tra i due ragazzini. Ben presto la discussione assumerà toni tutt’altro che civili, portando allo scoperto tutta la fragilità dei protagonisti e anche dei rapporti familiari all’interno delle due coppie.

La scrittura è abile, la messa in scena intelligente, il film è uno sguardo inquietante e delizioso su quanto complessa possa essere la semplicità, e ci permette di sbirciare cosa c’è veramente dietro l’apparenza di perbenismo di certa borghesia. Il preludio ha un valore altamente simbolico: i titoli di testa sono impostati su una sequenza di bambini che litigano in un parco pubblico e solo successivamente, quando il mondo dei bambini lascia il posto a quello degli adulti, la scena si sposta in ambito privato.

Quattro adulti sono riuniti lontani da occhi indiscreti, per discutere una questione che intendono risolvere tra loro. La porta chiusa che li intrappola e che più volte impedirà ai due ospiti di andarsene, rivela un elemento essenziale, quello dell’immagine di fronte agli altri: il dialogo schietto può avvenire solo all’interno delle mura, lontano dai vicini e da sguardi esterni. Fin dall’inizio, la caratterizzazione dei protagonisti emerge come densa di significato e ogni elemento della scena ne diventa un vero e proprio vettore: dalle parole ai gesti, dall’abbigliamento agli accessori dell’arredamento.

E poiché si tratta di immagine, quella che i protagonisti hanno di se stessi e vogliono riflettere, il regista mette in atto una dinamica intelligente di giochi di specchi. A poco a poco la vernice dell’apparenza si sgretola fino a scomparire del tutto, mostrando le pareti nude e crude; i convenevoli iniziali e la finta cortesia si trasformano in aggressività verbale peggiore di quella fisica che ha dato inizio al film. Anche questo è significativo: per quanto l’aggressione tra i bambini era stata istintiva e spontanea, frutto di una primordiale necessità di affermazione, per quanto lo scontro verbale tra gli adulti diventa gradatamente un gioco al massacro, subdolo ma non certo meno violento.

Entrambe le coppie si sforzano di essere estremamente socievoli e sembrano disposte a collaborare in modo civile per risolvere la questione. Nonostante il disagio iniziale, l’incontro inizia in tutta cortesia, ma molto rapidamente, e non sorprende, si intensifica. I risentimenti, i pregiudizi e le frustrazioni di ciascuno esploderanno, i colpi bassi si moltiplicheranno, prima da una coppia all’altra e poi all’interno di ciascuna di esse. La visita sembra arrivare al termine più di una volta ma, nel momento in cui i Cowan sono quasi sulla porta e tutto sembra risolto, interviene un nuovo scambio di parole, dai toni sempre più esasperati, che li spinge a riprendere la discussione. E se il gioco dell’avanti e indietro verso l’uscita è innegabilmente teatrale, Roman Polanski lo rende cinematografico grazie alla moltitudine di punti di vista e campi di ripresa.

Cosa succede quando una conversazione iniziata al tavolino, con tanto di torta di mele forzatamente ostentata, finisce con il whisky del padrone di casa, che provoca persino il vomito dell’ospite sul raro catalogo d’arte della padrona di casa?  Succede che le alleanze e gli accordi cambiano, anche all’interno delle due coppie, e affiorano tutti i pregiudizi che i personaggi hanno l’uno sull’altro, mentre i discorsi civili si trasformano in urla. E il film diventa quasi esilarante.

Una dimostrazione della natura umana in tutto il suo splendido orrore, fino allo sgretolamento delle più piccole fondamenta di decenza, rispetto ed empatia, mentre il vero carattere di ogni persona emergerà finalmente da tutte le sue apparenti buone intenzioni, per manifestarsi nella sua forma più cruda.  

Gli attori sono tutti fantastici, la Foster e Reilly interpretano i genitori della vittima, una coppia di benestanti lavoratori che ospita nel proprio lussuoso appartamento a Central Park l’altra coppia di genitori, ricchi snob rappresentati dalla Winslet e da uno strepitoso Chritoph Waltz. Quest’ultimo, in particolare, diventa un personaggio chiave: è un vero maniaco del lavoro, distratto e irritante, poiché interrompe costantemente la conversazione per rispondere al cellulare, mostrando tra l’altro indifferenza e maleducazione.

Si capisce anche dai suoi discorsi che è del tutto disinteressato all’educazione del figlio, tuttavia, in un momento cruciale della vicenda, sembra l’unico disposto ad ammettere e riconoscere la verità. Quando, al culmine della discussione, la padrona di casa grida alla Winslet “Tuo figlio è un maniaco!” provocando la sua immediata reazione di difesa, è proprio Waltz a concordare seccamente: “Ha ragione, nostro figlio è un maniaco”.

Se il tono incisivo ma grottesco faceva già parte del lavoro teatrale, è chiaro che Polanski è sicuramente il regista perfetto per dare all’opera la giusta rappresentazione sullo schermo. Si rivela un maestro nel posizionare la macchina da presa, ritagliando le inquadrature per aumentare le emozioni, ed è coadiuvato da un montaggio di precisione chirurgica.

Nel complesso è un film brillante, lucido e seducente, emozionante come un thriller e movimentato più di un action; uno spettacolo di raro realismo che coinvolge e allo stesso tempo diverte, e soprattutto non è per nulla politicamente corretto.

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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

21 pensieri riguardo “Carnage (2011)”

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