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La morte corre sul fiume (1955)

Con quasi trent’anni di carriera di attore alle spalle, Charles Laughton si mette dietro la macchina da presa per creare un film davvero unico. Abituato ai ruoli di personaggi cinici o machiavellici, Laughton mette tutta la sua esperienza in questa pellicola, dove un assassino psicopatico, travestito da pastore, rintraccia e perseguita due bambini piccoli per trovare il bottino di una rapina, nascosto dal loro defunto padre. Inizialmente ne sposa la madre per tenerli d’occhio meglio, ma quando questa scopre il suo gioco, si libera della donna e si getta all’inseguimento dei bambini che nel frattempo sono fuggiti lungo il fiume.

La straordinaria riuscita del film è dovuta sia all’atmosfera, onirica e paurosa, sia all’interpretazione di un attore come Robert Mitchum che sembra perfetto per il ruolo e regge perfettamente la scena quasi da solo: la sua naturale nonchalance, con cui riesce ad essere terrificante, implacabile e allo stesso tempo apparentemente gentile, e persino simpatico, rende il suo personaggio indimenticabile e questo ruolo la sua miglior performance.

Non si contano le scene suggestive, che rimangono impresse nella memoria dello spettatore; alcune tolgono addirittura il fiato, combinando una bellezza quasi poetica con un’angoscia emozionante. Da molte parti si è notata una certa influenza dell’espressionismo tedesco, soprattutto per le scene notturne, ed è sbalorditivo che Laughton abbia raggiunto un risultato così perfetto al suo primo tentativo di regia. Purtroppo questo sarà anche il suo ultimo: il film infatti non ebbe successo di botteghino alla sua uscita, e fu persino disprezzato. Probabilmente il motivo va cercato nel suo essere un atto d’accusa contro il fanatismo religioso e i falsi profeti nel sud degli Stati Uniti. Solo nel tempo è stato riconosciuto per il suo vero valore, come uno dei film più originali e creativi della storia del cinema.

Il motivo del suo fallimento, al momento dell’uscita, può essere legato anche all’insieme eterogeneo di influenze e generi che compongono l’opera. In effetti il film è fondamentalmente un thriller, ma raccontato come una fiaba nera, con venature di dramma sociale e un pizzico di umorismo macabro, realizzato prendendo in prestito le atmosfere dal cinema muto e dall’immaginario espressionista. Il risultato è inevitabilmente insolito, addirittura inaspettato, soprattutto per l’epoca. Tanto più che la vicenda mette apertamente in guardia contro le parole degli evangelisti, di cui Laughton denuncia il potere quasi settario, e diventa una parabola contro il maccartismo.

Ma il più affascinante resta il suo sotto testo psicoanalitico. Presentato sotto forma di un racconto, il film mantiene le caratteristiche di un sogno a occhi aperti. La vicenda è vista attraverso il prisma dell’infanzia, e principalmente del suo giovane eroe, il piccolo John, che percepisce rapidamente la malvagità nel finto predicatore, a differenza della madre, che finirà per essere vittima della sua ingenuità. Una volta morta la madre, come in una fiaba, Laughton costruisce un personaggio buono e positivo, che possa salvare i bambini al momento giusto.

Mentre il predicatore illustra il male nella sua forma più pura, il personaggio interpretato da Lilian Gish incarna l’amore, in una forma altrettanto assoluta. Da un punto di vista estetico, sorprende l’uso del bianco e nero in un momento in cui il colore invadeva i cinema. Ma il suo utilizzo è preciso e ispirato, e permette a Laughton di mescolare abilmente giochi di profondità di campo, affascinanti composizioni di inquadrature e sorprendenti giochi di ombre. Anche la luce è molto contrastata, sviluppando un risultato che richiama inevitabilmente Dreyer o Griffith. Alla fine risulta un insieme di immagini forti e liriche al tempo stesso, come la scena del pescatore con la sua macabra scoperta o la fuga dei bambini sulla barca.

Per quanto riguarda il cast, siamo a livello di leggenda: Robert Mitchum incarna lo spaventoso avvoltoio travestito da falso predicatore, ladro e assassino; Shelley Winters disegna la madre fragile e ingenua, che, completamente plagiata dall’uomo, sprofonderà nell’isteria religiosa; Peter Graves interpreta il povero padre dei due bambini, e la mitica Lilian Gish, una delle più grandi stelle del muto, incarna l’anziana Rachel, l’unica figura adulta responsabile che fa luce su questa storia oscura.

Notevoli anche i bambini, entrambi perfetti nei loro ruoli, e tuttavia subito dimenticati, in un’epoca in cui Hollywood non dava spazio ai talenti troppo giovani, a meno che non avessero i riccioli d’oro e sapessero ballare il tip tap.
Un film unico nel suo genere, geniale e ispirato, una pellicola senza tempo, ancora oggi godibilissima e nel complesso innovativa, nonostante l’indiscusso classicismo estetico. Laughton purtroppo morì solo 7 anni più tardi, senza poter sapere quello che il suo film sarebbe diventato per le generazioni future.

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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

18 pensieri riguardo “La morte corre sul fiume (1955)”

  1. Hai analizzato il film in maniera molto approfondita e intelligente. Ho sempre saputo che avevi un grande talento come blogger, ma non avrei mai immaginato che un giorno avresti pubblicato un post – capolavoro come questo.

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