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Suburbicon (2017)

Benvenuti a Suburbicon, un tranquillo sobborgo dove molte famiglie americane sono felici di vivere insieme, siano esse di New York o del Mississippi. Benvenuti all’alba degli anni ’50, quando i vicini ti sorridono cordiali, a condizione che tu, come loro, rientri nella loro definizione di un mondo ideale, cioè il bianco. Un quartiere a dir poco idilliaco, dove tutti si salutano, dove la borghesia americana, archiviata la seconda guerra mondiale, cerca di vivere appieno “il sogno americano”. Ma questo piccolo mondo ideale mostra rapidamente i suoi limiti: per quanto colorato sia, è abitato solo da bianchi.

A turbare il clima paradisiaco e apparentemente perfetto di questo sobborgo, sbarcano i Mayers, il cui colore della pelle non si armonizza per niente con i colori vivaci delle case, e basta da solo a giustificare le accuse più infamanti. Ed ecco che di fronte all’atroce aggressione subita dalla famiglia Lodge, che ha causato la morte di Rose, lasciando orfano il figlioletto, i Mayers rappresentano il perfetto capro espiatorio, senza neanche bisogno di prove. Ma la realtà è ben diversa, molto più atroce di qualunque ipotesi, e il film, che apparentemente sembra avere intenti politico sociali di condanna del razzismo, si trasforma lentamente ma inesorabilmente in un thriller sempre più dark, intriso però di humour nero.

In altre parole, una black comedy, geniale, lucida e sferzante, dove l’ironia taglia come un rasoio. Clooney alla regia si diverte moltissimo a mettere in luce i lati più oscuri di questa famigliola all’apparenza normale e ordinaria, ma in realtà quanto di più lontano si possa immaginare da quella che si definisce normalità. Il thriller prende forma in maniera graduale, diventando sempre più grottesco e divertente, mentre dà modo a Clooney di mettere in discussione la natura umana. Relegata poi in secondo piano, la storia dei Mayers, questi nuovi vicini che sfacciatamente hanno osato turbare la tranquillità del sobborgo bianco, continuerà ad alimentare le questioni che vanno oltre l’intrigo che nasce dietro la porta della famiglia Lodge.

Il film continua quindi su due binari paralleli: da una parte gli orrori celati dietro la normalità borghese di Mr. Lodge, dall’altra i fermenti razzisti che sfoceranno in una vera e propria rivolta del quartiere contro i nuovi vicini. Il tutto osservato dall’occhio ingenuo, ma non del tutto sprovveduto, di Nicky, il piccolo di casa Lodge, che dopo aver perso drammaticamente la mamma, vede sua zia Maggie prendere pian piano il suo posto, occupando sempre più spazio in casa e nel letto del padre. Il marcio è quindi dietro le mura domestiche, camuffato da cortesia e buone maniere, e i Coen, che da sempre si divertono a fare a pezzi l’apparenza piccolo borghese della famiglia americana media, col loro sguardo tagliente se la spassano un mondo a squarciare il velo di perbenismo, mostrando l’abisso che nasconde.

E la regia di Clooney crea un racconto spiazzante ma con brio, ricco di colpi di scena ma sempre divertente, mai fine a se stesso. Matt Damon incarna come al solito l’uomo comune, questa volta particolarmente perverso, ma fortunatamente inetto e sfortunato, vittima di una serie di circostanze avverse, che lo faranno miseramente fallire. Julianne Moore è perfetta nel ruolo delle due gemelle, sia nel disegnarne i caratteri differenti, nonostante la somiglianza fisica, sia nell’apparente semplicità con cui passa dalla gentilezza formale verso i nuovi vicini, alla furia omicida nei confronti del piccolo testimone scomodo. Ruolo decisivo per Noah Jupe, il piccolo Nicky, ago della bilancia in mezzo agli adulti, che non solo li fa uscire allo scoperto dal castello di bugie che hanno costruito, ma ha il compito di chiudere la vicenda riportando il sereno dopo l’ecatombe finale.

A Clooney riesce particolarmente bene l’amalgama di generi cinematografici differenti, perché il film appare brillante pur essendo indiscutibilmente un thriller, con il fascino del noir, ma nello stesso tempo risulta grottesco e drammatico, ed è proprio l’essere indefinibile alla fine l’arma vincente della sua regia.
Un film difficile da inquadrare, ma che vale la pena di vedere, perché ha classe da vendere.

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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

9 pensieri riguardo “Suburbicon (2017)”

  1. Mi fa molto piacere leggere che anche a qualcun altro è piaciuto questo film. Di solito ho letto critiche abbastanza negative anche se non ne comprendevo bene il motivo. Non è una black comedy perfetta, ma ha decisamente tanto da dire e lo fa con un certo stile.

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