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Un giorno di ordinaria follia (1993)

Un film che ha quasi 30 anni ma è straordinariamente attuale nelle tematiche e nella narrazione, anzi viene quasi da pensare che sia più moderno oggi di quando è uscito. Il titolo italiano, per una volta molto azzeccato, gioca sull’ossimoro, parlando di follia ordinaria, cioè normale, il che è una contraddizione chiaramente voluta, mentre il titolo originale, Falling down, allude ad un crollo devastante, alla caduta del protagonista verso l’abisso.

Un incipit meraviglioso, soffocante e claustrofobico come la micidiale afa di un giorno torrido a Los Angeles. Un giorno qualunque, come tanti altri, ma per William Foster, imbottigliato nel traffico, chiuso nel suo catorcio in cui si è rotta l’aria condizionata, tormentato da una mosca noiosa e impertinente che non lo vuole lasciare in pace, umiliato dal recente licenziamento e dall’impossibilità di vedere moglie e figlia per un ordinanza restrittiva, questo giorno si trasforma in un’occasione di riscatto, un’esplosione di rabbia contro tutte le ingiustizie del mondo, e soprattutto contro quelle regole assurde a cui tutti sottostiamo quotidianamente, senza avere la forza di ribellarci.

Nello stesso luogo, sofferente per lo stesso caldo opprimente, e anche lui vittima di un’esistenza non proprio serena, si trova Martin Prendergast, un detective della polizia al suo ultimo giorno di servizio, afflitto da una moglie nevrotica e ansiosa che lo ha costretto al prepensionamento, ma alla quale è affezionato e con cui condivide il ricordo doloroso di una figlia scomparsa prematuramente.

Due uomini in parte affini, assimilati da una realtà che rema contro e da un’esistenza non certo prodiga di soddisfazioni; eppure diversissime saranno le loro reazioni agli insulti della vita, che li porteranno a un inevitabile scontro e a diventare uno la nemesi dell’altro. Il film mette in parallelo due storie che, pur nella sostanziale diversità, rivelano più di un’analogia: sia Foster che Prendergast hanno nella famiglia, o in ciò che ne resta, l’obiettivo immediato della loro vita.

La famiglia di Foster è un bene perduto, un mondo irripetibile di affetti che lui stesso si è alienato, e che gli appare sempre più come un’ultima spiaggia; Prendergast, invece, vive attaccato al ricordo della figlioletta perduta, sopportando con infinita pazienza l’ossessiva e petulante consorte, dalla quale si è lasciato fin troppo dominare, fino a ridursi, dal brillante poliziotto che era, ad essere un uomo represso e cortese, che finisce per rassegnarsi al prepensionamento.

Ma le analogie finiscono qua: il primo, una volta esplosa la crisi, precipita di gradino in gradino, verso il vortice finale che lo inghiottirà, mentre il secondo, galvanizzato dal rischio e dalla soddisfazione del lavoro sul campo, rinuncerà alla pensione, per tornare a fare il poliziotto sul serio.

Sullo sfondo di una città nevrotica, caotica e dalle tante sfaccettature, il film diventa un tragico atto d’accusa contro il disagio, sempre crescente, che attanaglia l’uomo medio (americano, ma non solo) di fronte ad una società sempre più alienante, non più a misura d’uomo. Nonostante il regista abbia sottolineato il lato ironico del film, evidenziando l’aspetto perfino grottesco di alcune scene, la tensione altissima che domina tutta la vicenda prevale necessariamente sull’ironia, e anche quando Foster involontariamente suscita ilarità, si tratta pur sempre di un sorriso molto amaro.

Questo piccolo travet esasperato, che si trasforma per un giorno in giustiziere, diventa suo malgrado pubblico accusatore di quella violenza, a volte subdola e a volte arrogante, che si annida nelle pieghe più nascoste della società. E va sottolineata l’accuratezza con cui il film descrive tutti i meccanismi psicologici che provocano la reazione del protagonista: l’uomo, evidentemente a pezzi e in uno stato mentale confusionario, attraversa tutta una serie di disavventure che aumentano il suo stato d’animo già precario, trovandosi a dover affrontare tutti gli ostacoli piccoli e grandi che la vita quotidianamente impone, come il prezzo troppo alto di una bibita, o l’impossibilità di ordinare la colazione in un fast food perché è ormai trascorso l’orario stabilito.

Tutti inconvenienti insignificanti, su cui spesso si tende a sorvolare, perché si accettano le regole imposte dall’abitudine, ma che a ben vedere non sono meno folli della reazione di Foster. Sulla scia di sangue e confusione che genera, il protagonista si dedica alla lotta contro gli stereotipi imposti dalla società, votandosi candidamente all’autodistruzione: proclama giustizia e pari opportunità brandendo una mazza da baseball con cui si fa largo nella sua marcia inarrestabile. Punta il dito contro il nazismo, mettendo al muro chi si frappone nel suo perverso cammino. Il bello è che lo fa con nonchalance, facendosi beffe delle più elementari regole di quieto vivere, chiede strada gentilmente, ma mostrando un borsone pieno di armi. L’imporre le proprie ragioni attraverso la violenza diventa quindi per lui l’unico modo per farsi accettare da quella società che lo ha respinto e preso in giro in vari modi.
Il protagonista si muove quindi su un piano differente rispetto al mondo che lo circonda; qualcosa, ormai, si è rotto e non è più possibile aggiustarlo in alcun modo.

Schumacher firma uno dei suoi film migliori, teso e rabbioso, privando il suo protagonista di qualsiasi connotazione politica. E’ intollerante ma non razzista, si lascia trasportare unicamente dall’impulso, mentre la città in cui si muove è un groviglio di problemi e di caos angosciante. L’escalation di follia di cui è preda il protagonista, è un j’accuse molto feroce contro questo sistema alienante, questo nostro mondo pieno di gente, ma dove tutti sono soli, dove comanda solo l’arroganza e la prepotenza del più forte, del più armato, del più ricco, dove, quando la ragione si arrende, rimane solo la rabbia.

Lo stile asciutto ed incalzante del regista, con una voluta assenza di compiacimenti spettacolari, rende Douglas estremamente credibile senza forzarlo troppo. E il film risulta purtroppo incredibilmente attuale perché, viste le condizioni di vita delle moderne città, molta più gente di quanto si creda, apparentemente normale, è separata da un filo di lana, da quel buio interiore in cui improvvisamente si può accendere la cupa e misteriosa scintilla di un’ordinaria follia.

Complimenti a Matilde di Cucinando poesie, Jo di Film Serial, Topper Harley, Paol1 di Un futuro per i nostri figli, Lo Scribacchino del web, Moonraylight di Bucaneve e Farida de la borsetta delle donne che hanno indovinato.

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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

48 pensieri riguardo “Un giorno di ordinaria follia (1993)”

  1. E’ un film che non è invecchiato per nulla, anzi è davvero un monito anche per l’oggi! ottimi gli attori e anhe la regia, quando lo vidi devo dire che mi impressionò parecchio e mi lasciò un velo di tristezzza proprio pensando al futuro! bravissima come sempre!

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  2. Molto attuale. Sono sempre più convinto che l’essere umano non sia stato “programmato” per questa vita sempre più “fast” . Senza arrivare agli estremi del film , può portare a disagi psicologici.

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        1. Non dubito, sarà buonissima. Quando hai tempo, aspetto sempre la ricetta del pesto e della salsa di noci. Non dirmi però che ci vuole il basilico di Pra… io dove vado a prenderlo? Mi devo arrangiare col basilico del mio terrazzo.

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        2. La differenza principalmente sta lì e il tipo di gusto che cambia. Quando compri i semi il prossimo anno compra quello di Prà.
          I pinoli ci vogliono quelli italiani, ho provato quelli cinesi costano meno della metà ma non sono buoni.
          Olio extra vergine, anche qui l’olio ligure è fatto con le olive taggiasche, ha un gusto diverso. E’ un mix di cose, poi andrebbe fatto al mortaio perché le foglie del basilico non si riscaldino, quindi nel frullatore un giro e fermare e così finché non è pronto.
          Parmigiano e pecorino aglio non tanto se no il gusto ne risente e un pizzico di sale grosso no quello fine.

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        3. Grazie, cercherò il basilico di Pra. L’olio di oliva taggiasca lo uso già, perché mi piace il gusto. Il mortaio ce l’ho, di marmo. L’aglio non lo uso, perché non mi piace. Io mettevo solo il parmigiano, proverò ad aggiungere il pecorino.

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