Un film decisamente insolito, originale e affascinante, come quelli a cui ci ha abituato il regista Gus Van Sant, da sempre un outsider di Hollywood. In molti dei suoi film la morte, cercata o trovata per caso, è messa al centro della storia, così come il disagio esistenziale, a partire da Belli e dannati del 1991, fino a Elephant del 2003, forse la più controversa e sperimentale delle sue pellicole.
Anche in quest’ultimo film la morte è in qualche modo protagonista, ma senza che la storia ne risenta in termini di pessimismo o scoraggiamento, anzi il finale ci conduce con una inaspettata levità all’ottimismo, dagli abissi della depressione fino a una rinascita interiore.
La foresta del titolo è quella di Aokigahara, alla base del monte Fuji, in Giappone, conosciuta come la “Foresta dei suicidi”, perché dal 1950 ci sono stati più di 500 aspiranti suicidi che hanno deciso di togliersi la vita al suo interno. La foresta è costituita da una vegetazione particolarmente fitta, e una volta spinti al suo interno, è davvero difficile uscirne. E’ una specie di labirinto naturale, misterioso e inestricabile, al punto che molte delle persone che vi si sono addentrate non sono più state ritrovate, e i loro corpi mummificati sono ancora là, in mezzo alla vegetazione, senza che nessuno possa andare a recuperarli. E’ la stessa location dell’horror Jukai – La foresta dei suicidi, dell’anno seguente. Ma quello di Van Sant non è assolutamente un horror. E’ un film suggestivo e poetico.

Protagonista è Arthur, un professore quarantenne, che arriva alla foresta con un biglietto di sola andata, intenzionato a suicidarsi. Le motivazioni affioreranno via via nel corso del film, attraverso numerosi flashback della sua vita coniugale. Mentre sta per ingoiare la dose letale di pillole che si è portato dietro, incrocia un giapponese, Takumi, ferito e smarrito, venuto anche lui qui per suicidarsi, ma che all’ultimo momento ha cambiato idea, si è perso e non sa come tornare indietro.

Arthur rimanda temporaneamente il suo gesto estremo, e cerca di aiutare Takumi a trovare il sentiero giusto, ma anche lui ha perso l’orientamento. Quindi i due cominciano a vagare nella foresta, senza avere idea di dove si trovano e dove stanno andando. Nel frattempo sopraggiunge la notte e un violento acquazzone. Intanto i due estranei cominciano a parlare di sé, e Takumi racconta di come è stato dequalificato sul lavoro, perdendo così il suo onore professionale, e di come il suicidio fosse per lui l’unico modo per lavare il disonore. Ma all’ultimo momento ha cambiato idea perché ama troppo la moglie e la figlia, e desidera tornare da loro.
Durante questo viaggio che dura fino al giorno dopo, Arthur e Takumi cercano di sopravvivere disperatamente al freddo e alla stanchezza, riparandosi prima in una grotta, poi in una tenda dove si trova il corpo mummificato di un altro suicida. Qui Arthur ricorda il suo rapporto infelice con la moglie, che si era deteriorato nel tempo nonostante l’amore che li aveva uniti all’inizio, e ricorda la tragedia assurda che lo aveva condotto fin qui. In certi momenti solo confidarsi con un estraneo riesce a farci vedere la situazione sotto un’altra luce, e ci dà la forza e l’energia che non riusciamo a trovare in noi stessi.

Non svelerò il finale, per lasciarvi godere la delicatezza inesprimibile con cui si conclude questa storia tragica e dolorosa.
Vi dico però che La foresta dei sogni è un viaggio surreale e lirico nel dolore, alla ricerca del significato dell’esistenza, un viaggio nella coscienza dei propri errori, che trasforma una tragedia in una nuova esaltante ragione di vita, e traduce una perdita incolmabile nella scoperta di una realtà trascendente e irrazionale. E’ una storia di perdono dell’altro, ma soprattutto di indulgenza verso se stessi e la propria incapacità di essere perfetti. La morte, che è presente come un fantasma in ogni fotogramma, è sfiorata, temuta, respirata, subita come ineluttabile, ma infine sconfitta, superata e annientata dalla vita.
Nel complesso è un film che parla dell’amore, della vita, della morte ma lo fa in maniera indiretta, trascinando letteralmente lo spettatore all’interno della sua storia, incuriosendolo e impedendogli di tornare indietro, proprio come i protagonisti che non riescono più a uscire dalla foresta incantata. L’ottima regia di Van Sant offre allo spettatore non solo una storia unica e originale, ma anche un luogo suggestivo e misterioso, che nasconde anche un lato spaventoso quando non si riesce più ad uscirne. La foresta infatti è protagonista tanto quanto Arthur e Takumi, e si riesce quasi a percepirne lo spirito. Quello che inizia come un viaggio verso e dentro un luogo, diventa un viaggio dentro se stessi.

Peccato solo per la storia d’amore banale, arida e borghese che fa da sfondo alla vicenda. Peccato anche per la scelta di Matthew McConaughey e Naomi Watts che hanno troppa presenza scenica per una storia dai risvolti così spirituali, e finiscono per assorbire i personaggi facendoli sparire con la loro innegabile fisicità. Bravo invece Ken Watanabe, in un ruolo che inizialmente sembra banalmente stereotipato, ma che riserva sul finale una poetica sorpresa. Concludo con le parole di McConaughey: “La foresta dei sogni è una storia che celebra la vita e che dovrebbe far riflettere sulla propria esistenza, in senso buono. Lasciando la sala, gli spettatori dovrebbero riflettere su quello a cui si sono dedicati da quando sono nati, a cosa dovrebbero dedicarsi per il resto della loro vita, e su quello che hanno da farsi perdonare.”
Buon giorno 2
Sono convinto che la tua recensione sia molto più bella de film.
Andrò a vedermi il finale.
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Buongiorno 2. Non capisco se è un complimento o una critica… Cmq il finale, da solo, non ha senso. Lo si capisce soltanto se si vede il film. Non ti piacerebbe. Se vuoi.
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Un complimento, per come scrivi e racconti , credo di avertelo già detto, i film con i tuoi commenti ci guadagnano tantissimo.
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Grazie, però è una critica perché come recensore dovrei essere obbiettiva.
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Finché non ti pagano fai quello che vuoi.
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Questo è sicuro.
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Finisce bene se muoiono tutte e due.
I giapponesi hanno un’idea del suicidio molto balorda, io prima farei saltare la testa a chi mi ha rovinato e poi vediamo…
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Hanno un senso dell’onore molto profondo, diverso dal nostro.
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Se ti vuoi fare fuori, elimina il mondo di almeno tre stronzi prima di te così da non rendere inutile la tua morte.
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Io non concepisco proprio il suicidio come concetto, però il tuo discorso può avere senso.
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se vuoi
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Fatto
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mi era sfuggito e l’ho visto a gennaio su Chili, e devo dire che la tua recensione va davvero bene, e concordo sulla presenza forse troppo “fisica” di Matthew McConaughey e Naomi Watts, ma alla fine poi la fotografia e la storia te li fanno um po’ dimenticare! da vedere senza dubbio!
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Mi fa piacere che tu sia d’accordo, perché è un film complesso, ed era difficile parlarne senza svelare tutto…
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Ma infatti sei stata bravissima!
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Graxie!
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🌺
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Deve essere bello questo film! Mi intriga da come ne hai parlato! Devo provvedere, grazie Raffa 😊
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Grazie a te per la fiducia! Attenzione perché io parlo solo di film che mi sono piaciuti, perciò non sono molto imparziale…
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Credo che sia normale che le recensioni dipendano sempre dai gusti personali! Il modo in cui ne parli, comunque, incuriosisce davvero 😉
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Mi è piaciuto molto questo film e grazie per l’ottima
recensione!
Appena capita lo rivedrò senz’altro
🙂
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Grazie!
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A te 🙂
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il film mi piacque molto
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Anche io l’ho trovato molto ben fatto e originale
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La tua recensione mi ha incuriosita moltissimo! Non conoscevo questo film, vedrò di rimediare al più presto 🙂
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Spero che poi ti piaccia…
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L’ha ripubblicato su Consumi e parolee ha commentato:
E’ vero che Naomi Watts sovrasta la storia ma il tema trattato aveva bisogno di volti belli penso io. Comunque un’analisi accurata che invoglia a vedere il film.
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Grazie!
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