Un film originale, che esce dai soliti schemi del legal thriller, anche se apperentemente si presenta come tale. C’è un omicidio, un reo confesso che sembra chiedere a gran voce di essere condannato, c’è un processo in cui si cerca la verità, e ci sono mille facce diverse di quella stessa verità, tutte da scoprire. Un giallo in cui tutto sembra già deciso, e invece niente è definitivo.
Un avvocato si trova a difendere il figlio diciasettenne di un’amica, accusato di aver ucciso il padre e sorpreso dalla polizia quasi in flagrante. Il ragazzo, reo confesso, sembra non volersi difendere, non parla, non risponde, non intende collaborare in nessun modo con l’avvocato, che dispera di poterlo salvare, e non ne capisce le motivazioni. Ma ha promesso alla madre di salvarlo, e intende farlo, a qualunque costo. Particolare non da poco: l’avvocato era amico e collega anche della vittima.

Il film comincia a omicidio avvenuto, anzi a processo iniziato, ed è attraverso le deposizioni dei testimoni che apprendiamo cos’è successo, come si sono svolti i fatti e scopriamo anche la personalità della vittima e dei vari personaggi. I protagonisti si svelano allo spettatore gradatamente, e così apprendiamo che il padre-padrone non era particolarmente amabile, neppure con la moglie, il che sembrerebbe giustificare l’omicidio.

Tuttavia restano incomprensibili le ragioni del figlio, dalla confessione spontanea iniziale fino al silenzio ostinato che potrebbe pregiudicare la sua difesa. Alle deposizioni si aggiunge, come in un vecchio noir, la voce narrante dell’avvocato, che ricostruisce e commenta la situazione dal proprio punto di vista.
Il film è concepito quindi come un puzzle, che lo spettatore deve ricostruire tra flashback e improvvise rivelazioni, perché ogni personaggio è portatore di una doppia verità, avvocato compreso. Tra le bugie dei testimoni, che stando all’avvocato, mentono sempre, e i colpi di scena disseminati qua e là, sentiamo che qualcosa non va, ma non capiamo cosa. Fin quando, a processo concluso e verdetto raggiunto, scopriamo come sono andate realmente le cose, in un finale a sorpresa che, con l’ennesimo flashback, fa apparire l’unica squallida verità in tutta la sua cruda meschinità.

Sarebbe anche un film originale e ben costruito, peccato per la recitazione piatta degli attori: Keanu Reeves indossa la solita maschera inespressiva, perfetta per Matrix ma assolutamente sterile per un film come questo, mentre Renée Zellweger è resa irriconoscibile e spenta da una chirurgia plastica invasiva.

Il giovane imputato fa quello che può, ma certamente la scelta del silenzio non aiuta l’espressività. L’unico che spicca su tutti è il morto, un James Belushi che riesce ad imporsi con poche inquadrature, disegnando un cattivo da antologia, insopportabile e disgustoso quanto basta a giustificarne l’eliminazione.
Il film vale comunque la pena di essere visto, come un legal thriller innovativo e intelligente con un finale assolutamente imprevedibile, anche se davvero sconfortante. Qualunque verità lo spettatore si fosse immaginato, quella che si rivela alla fine sarà sicuramente più difficile da accettare.
SPUNTI DI CINEMA: Legal movies: brividi in tribunale
bella la tua recensione. e vero quello che dici sugli attori, io l’ho visto, ma non lo riguaderei!! buona giornata!
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Grazie per il tuo saluto. Buona giornata anche a te!
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Grazie per la condivisione! Buongiorno!😊
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Grazie a te. Buona giornata.
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Film carino, ma con tutti i difetti che gli hai riconosciuto. 🙂
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Bisogna sempre riconoscere i difetti, se ci sono.
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Buon giorno 2
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Un vero peccato per René Zellweger, mi piaceva davvero tanto quando ha fatto il primo Bridget Jones, miss Beatrix Potter e tutti i primi film, mi piaceva come recitazione ma anche come estetica, era “un tipo” e non la classica bellona.
Con la chirurgia, in questi ultimi anni mi è proprio calata…
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