Massimo Troisi, la semplicità del vero talento

1953 – 1994

Caratterizzato da una grande padronanza scenica, una vivace capacità espressiva, sia verbale sia mimica, era un mix perfetto di ironia, paradosso e malinconia, un attore capace di scherzare sui difetti universali con profonda ilarità, ma anche di interpretare ruoli di uomini molto sensibili, indifesi, anime tenere e impacciate di fronte alle situazioni quotidiane.

Massimo Troisi nasce a San Giorgio a Cremano (Napoli) il 19 febbraio 1953. Cresce in una famiglia numerosa: nella sua stessa casa, infatti, abitano, oltre ai suoi genitori ed ai suoi cinque fratelli, due nonni, gli zii ed i loro cinque figli. Ancora studente comincia ad interessarsi al teatro, iniziando a recitare in un gruppo teatrale, I Saraceni, di cui facevano parte Lello Arena, Enzo Decaro, Valeria Pezza e Nico Mucci. Nel 1972 lo stesso gruppo fonda il Centro Teatro Spazio all’interno di un ex garage a San Giorgio a Cremano, dove inizialmente si mandava in scena la tradizione del teatro napoletano, da Viviani a Eduardo.

Cronologicamente, il successo arriva prima alla radio con Cordialmente insieme e successivamente nasce La smorfia, il trio composto da Troisi, Arena e Decaro, che si fa conoscere in televisione, nel 1976, con Non stop, il laboratorio sperimentale di Enzo Trapani in cui si sono formati molti dei migliori comici italiani di nuova generazione; raggiunge poi la definitiva popolarità con la trasmissione Luna Park nel 1979, che gli spiana la strada del cinema.  Di questi anni sono gli sketch notissimi dell’Annunciazione, dell’Arca di Noè e di San Gennaro, ancora oggi molto godibili.

Nel 1981 il folgorante esordio al cinema con Ricomincio da tre, da lui diretto e interpretato, gli valse un David di Donatello e un Orso d’argento come miglior attore e regista esordiente. Troisi ci racconta in modo brillante la storia di un giovane napoletano trasferitosi a Firenze, alle prese con i problemi relazionali e il disagio giovanile della sua generazione. Il film fu uno dei più grandi successi del cinema italiano dei primi anni Ottanta e creò quel sottile e felice equilibrio, tipico del cinema di Troisi, tra accesa comicità e indolente malinconia.

L’anno dopo, per la serie televisiva Che fai ridi?, creò una sorta di finto documentario, Morto Troisi, viva Troisi (1982), in cui filmava una sua prematura scomparsa, con tanto di interviste ad amici e personaggi dello spettacolo e montaggio di brani di sue partecipazioni a trasmissioni televisive. Ritornò quindi al cinema con Scusate il ritardo (1983), il suo film forse più intimo, malinconico e a tratti crudele, che lo vede protagonista nel ruolo di Vincenzo, un giovane disoccupato napoletano mantenuto dalla famiglia, che non riesce a uscire dalla sua apatia quotidiana neanche grazie alla relazione con Anna, interpretata da Giuliana De Sio.

Nel 1984 si divertì con Roberto Benigni a dirigere e interpretare un piacevolissimo nonsense comico, Non ci resta che piangere, dove un inaspettato viaggio nel tempo dei due protagonisti diventa al contempo puro divertissement e gioco rocambolesco e folle, più vicino alla commedia dell’arte che alla commedia all’italiana. Nei suoi personaggi esprimeva i dubbi e le illusioni di un’intera generazione, con una filosofia di vita basata sull’arte tutta napoletana di sapersi accontentare, ma anche con la capacità di cogliere il particolare delle cose, delle situazioni e delle persone trasformandolo in un’analisi intima e molto personale.

Il suo tipico modo di recitare, in cui italiano e napoletano stretto si mescolavano, rendendo spesso non del tutto comprensibili le sue battute, si affidava però a una gestualità semplice ed esplicita, che otteneva un risultato di irresistibile comicità. Tutto questo lo fece avvicinare dalla critica a Eduardo De Filippo, di cui ben presto fu considerato l’erede. Il suo classico personaggio di insicuro alle prese con problemi di maturità si è via via arricchito ed ispessito nei film successivi. Dopo aver interpretato Hotel Colonial (1985) di Cinzia Th. Torrini, nel 1987 diresse e interpretò Le vie del Signore sono finite: ambientato durante il fascismo, attraverso la vicenda di un portiere affetto da paralisi psicosomatica, racconta ancora una volta l’amore vissuto come lancinante dolore.

Nel 1989 recitò in due film di Ettore Scola, Splendor e Che ora è?, entrambi accanto a Marcello Mastroianni, mentre l’anno successivo ancora per Scola interpretò un malinconico Pulcinella ne Il viaggio di Capitan Fracassa. Nel 1991 arriva il suo film forse più compiuto e complesso, Pensavo fosse amore… invece era un calesse, riflessione dolceamara sui rapporti uomo-donna alla fine del Ventesimo secolo, visti con la crudeltà e la dolcezza tipiche del suo cinema.

Monotematico sull’ossessione dell’amore (tutti i personaggi, anche i minori, vivono e parlano solo d’amore), questo film rappresenta l’apice del cinema di Troisi, ma fu anche la conferma della sua capacità di raccontare le ansie e le paure di una generazione, come anche della sua grande voglia di fare cinema e dell’innata modestia che lo caratterizzava. Non a caso Gianni Minà lo definì “un essere umano leggero, lieve, forse stonato in un’epoca e in una società dello spettacolo dove imporre la propria presenza, essere arroganti, è il comportamento di moda”.

Nel 1994 esce il suo ultimo film, Il postino, commovente mélo ambientato negli anni Cinquanta, fortemente voluto da Troisi che ne fu l’interprete, al fianco di Philippe Noiret e dell’esordiente Maria Grazia Cucinotta, e di cui firmò solo la sceneggiatura. In realtà, pur diretto da Michael Radford, è a tutti gli effetti, nella sua malinconica finezza, una sua opera e una sorta di piccolo testamento cinematografico.
Il 4 giugno 1994, a 41 anni, Troisi muore nel sonno a causa del suo cuore malato, ventiquattro ore dopo aver terminato le riprese del film che aveva amato di più.

«Potrai avere tutte le ricchezze materiali del mondo, ma se non hai amore nel cuore resterai sempre povero»

FONTI: Enciclopedia del cinema, Treccani – mymovies – biografieonline


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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

29 pensieri riguardo “Massimo Troisi, la semplicità del vero talento”

    1. A me piaceva molto, ma come sempre è questione di gusti. L’unico limite che gli ho sempre rimproverato era il modo di parlare, che purtroppo faceva perdere molte battute. Certamente a Napoli lo capivano meglio di me… Decaro nel tempo ha saputo farsi strada, però nella Smorfia erano gli altri due a trainare.

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      1. Secondo me non sapeva reinventarsi, aveva un solo personaggio, quello impacciato (anche quando era deciso). Ma questo è un limite che ho trovato spesso nella comicità napoletana (molto macchiettistica), con poche eccezioni. PEr quanto riguarda i gruppi comici dell’epoca, anche in Cochi e Renato, preferivo quello che fece meno successo, anche se Pozzetto lo considero uno dei migliori attori della sua generazione.

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  1. quando sono andato a vedere ricomincio da tre al cinema non c’era un posto libero: ho visto persone sedute per terra o sui gradini laterali. noi, compagni dis cuola, eravamo in tre e ci siamo adattati a sederci su due sedili

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  2. Credo che “Non ci resta che piangere” realizzato fifty, fifty con Roberto Benigni, sia un autentico capolavoro della comicità surreale.
    Troisi per me, con Verdone e Villaggio, rappresenta il comico naturale, senza alcuna aggiunta, come era nella vita.
    Irraggiungibile ora visto quello che gira …

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  3. Ancora ricordo la scena di “Scusate il ritardo” in cui erano a tavola la madre, lui, il fratello e il di lui figlio (mi pare). La madre, per far rigar dritto il nipote, lo minacciava sempre: “guarda che se non fai il bravo zio Vincenzo ti mangia” (non testuale, non ricordo bene) e una volta Vincenzo si ribella ed esclama qualcosa tipo: “Ma perché me lo devo mangiare sempre io? Non se lo può mangiare qualcun altro?” 😀
    A parte “Ricomincio da tre”, che era veramente carino e divertente, quello che mi ha fatto scompisciare dalle risate è “Non ci resta che piangere”. Ha delle gag irresistibili!

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    1. Aveva una comicità spontanea, che nasceva dal quotidiano. La collaborazione con Benigni è stato un momento magico per tutti e due, perché anche Benigni è uscito dalle sue toscanate, che sinceramente non mi piacevano molto.

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