John Wayne, il volto dell’America eroica

1907 – 1979

Il suo vero nome era Marion Michael Robert Morrison. Nasce il 26 maggio 1907 a Winterset, in Iowa, e nel 1916 si stabilisce con la famiglia a Glendale, in California. Aitante e atletico, durante gli studi secondari si distinse nel football americano e nel 1925 ottenne una borsa di studio per meriti sportivi alla University of Southern California. Grazie al suo allenatore, che era in contatto con l’industria del cinema, trovò lavoro come trovarobe e occasionale comparsa alla Fox Film Corporation. Negli studi della casa di produzione incontrò John Ford, che lo prese in simpatia e gli offrì piccoli ruoli marginali.

Partecipò a ben 18 film senza neppure essere accreditato. Nel 1930 il regista Raoul Walsh gli affidò la prima parte da protagonista nel western Il grande sentiero: in quell’occasione l’attore, ispirandosi alla figura del generale Wayne, un eroe della guerra di indipendenza americana, assunse il definitivo nome d’arte. Dopo l’insuccesso del film, girò molti western di minore importanza, mantenendo comunque sempre ottimi rapporti con Ford, che nel 1939 lo scelse come protagonista di Ombre rosse, una produzione a basso costo osteggiata dai produttori.

Ford era alla ricerca di un volto nuovo paragonabile a quello di Jean Gabin, di cui aveva ammirato l’interpretazione ne La grande illusione, di Jean Renoir, e fu conquistato dall’innocenza e dalla spontaneità del giovane attore autodidatta, ignaro delle malizie e dei trucchi dei professionisti del palcoscenico. Il film ebbe un successo straordinario e lanciò definitivamente Wayne nel mondo dello spettacolo. In breve tempo diventò il monumento di Hollywood; assoluto dominatore del film western americano, autentica leggenda e più ancora emblema del cinema mondiale d’ogni tempo.

Ha rappresentato, nella folta filmografia ricca di oltre 170 titoli, tutti i generi cinematografici, esprimendosi sempre ai più alti livelli interpretativi. Diventato simbolo riconosciuto dei valori americani per antonomasia, ha rappresentato l’amor di patria e la rettitudine morale, oltre che il profondo rispetto della legge e della giustizia. Di lui si ricorda lo sguardo sottile, il sorriso tagliente che diceva tutto, l’inimitabile modo di indossare il cinturone, il riconoscibile uso del fazzoletto allacciato alla gola e, soprattutto, il particolare modo di saltare in sella a un cavallo o su una jeep.

Grazie alla sua versatilità e alla vigorosa presenza l’attore riuscì a creare una galleria di personaggi memorabili, rendendo credibili ruoli che altrimenti sarebbero risultati schematici o stereotipati. La personalità dell’attore nella realtà non corrispondeva alla rozzezza e all’egocentricità propria di molti personaggi da lui interpretati, e con l’aiuto di registi di talento come John Ford e Howard Hawks poté uscire dallo stereotipo dell’eroe “tutto d’un pezzo”, lasciando affiorare a tratti una certa vulnerabilità celata dietro la maschera di uomo rude, cosicché nelle sue più riuscite caratterizzazioni fu un interprete completo.

Negli anni ’40, si presta a generi diversi di film, sempre intrisi di avventura, ed è identificato come eroe dello spirito patriottico americano soprattutto nei film di guerra come I sacrificati (1945) e Iwo Jima, deserto di fuoco (1949). Si fa apprezzare anche nella commedia con La taverna dei sette peccati (1940) e, più avanti, in Un uomo tranquillo (1952), ma il western è sempre la prima scelta, sia per l’attore che per i registi che lo dirigono.

È così che, a cavallo di due soli anni, è protagonista della trilogia militare-cavalleresca di John Ford con Il massacro di Fort Apache (1948), I cavalieri del Nord Ovest (1949) e Rio Bravo (1950). Dopo l’indimenticabile Il fiume rosso di Howard Hawks (1948), negli anni ’50 e nei primi ’60 è ancora una volta il western a consolidare il suo prestigio. È straordinario nel maturo Sentieri selvaggi (1956), dove tratteggia con maestria il ritratto di un uomo lacerato da violente passioni che lo spingono al limite della pazzia, ma in grado infine di ritrovare la propria umanità.

Successivamente è da ammirare in Soldati a cavallo, del 1959, sempre di Ford, e poi in Un dollaro d’onore, girato con Howard Hawks come risposta a Mezzogiorno di fuoco, che entrambi consideravano anti americano: nel film Wayne interpreta un rude sceriffo, scontroso e testardo, che tiene testa a un gruppo di violenti banditi. Nel 1960 interpreta il colossal La battaglia di Alamo, di cui è anche regista e produttore e nel 1961 tocca le corde della malinconia nel delineare l’amaro Tom Doniphon, defraudato della gloria di aver ucciso il bandito più temuto del West ne L’uomo che uccise Liberty Valance, diretto nuovamente da John Ford.

Richiesto per il ruolo principale in Quella sporca dozzina (1967), deve rinunciare, anche se il personaggio da interpretare gli piaceva moltissimo, perché impegnato nella produzione de I Berretti Verdi. Il suo ruolo andò a Lee Marvin. Regista e produttore, oltre che interprete, proprio di Berretti Verdi, discusso film sulla guerra del Vietnam, riceve più critiche che consensi; non per il valore del film in se stesso, ma per l’impostazione tesa a difendere a tutti i costi una “guerra giusta”.

Una vera e propria insurrezione da parte di comitati studenteschi dell’epoca diede vita al boicottaggio, con picchetti che presidiavano le entrate dei cinematografi un po’ in tutta Europa, specialmente in Italia. Negli anni ’70, quando il genere principe americano sta cambiando forme, anche John Wayne si rimette in gioco adeguandosi attraverso il western beffardo. Con la maiuscola interpretazione del vecchio cowboy ubriacone ne Il grinta (1968) vince il solo Oscar della sua lunga carriera.

Verso la fine si presta anche ai polizieschi con E’ una sporca faccenda, tenente Parker! (1974) e Ispettore Brannigan, la morte segue la tua ombra (1975), prima di concludere la sua avventura cinematografica alla stessa maniera di come l’aveva iniziata, vale a dire con un western, nel crepuscolare Il pistolero (1976). Nel finale della carriera ha sempre rifiutato proposte per film-tv e serial televisivi, poiché vedeva proprio nella televisione la causa maggiore del declino cinematografico.

Per I Comancheros, western del 1961, ultima regia di Michael Curtiz, fu lui a dirigere praticamente due terzi del film in quanto il regista era malato di cancro. Al termine della lavorazione, chiese e ottenne che il suo nome non comparisse tra gli accrediti alla regia, che così restò titolata a Curtiz. Analoga situazione si ripete nel 1971 per Il grande Jake, quando il regista, suo vecchio amico George Sherman, gravemente malato, non riesce a portare a termine tutte le riprese; anche in questo caso, rifiuta di apparire tra gli accrediti di regia, che resta a Sherman, malgrado il film sia stato quasi interamente diretto dallo stesso Wayne.

Conservatore ai massimi livelli per ciò che riguarda l’impostazione del western (ma non solo), rifiutò di interpretare Mezzogiorno di fuoco, e nel 1973 rispose sdegnato a Clint Eastwood, che lo voleva nel film Lo straniero senza nome, accusandolo di aver infangato il genere più sacro della cinematografia americana. Alla stessa maniera, si scagliò contro il regista Sam Peckinpah e sempre per le sue idee rifiutò il ruolo di Harry Callaghan in una serie di film polizieschi, poi interpretati dallo stesso Eastwood. Famoso anche il rifiuto a Robert Rossen per Tutti gli uomini del re (1949), con la precisa accusa verso il regista di aver fatto un film che ha gettato fango sullo “stile di vita americano”.

Nonostante i suoi ideali legati alla destra repubblicana, in difesa di patria, libertà e democrazia, a 34 anni si fece esentare dal servizio militare e non prese parte alla Seconda Guerra Mondiale; questo in base a una legge americana che esentava dal servizio padri di famiglia con 4 figli. In realtà, non partì per non compromettere una carriera lanciata ormai verso le vette più alte. A dispetto di questo, nel 1968 riceve la Medaglia al Valore del Congresso, per le opere artistiche prestate in funzione della validità del pensiero americano.

Muore l’11 giugno 1979 a causa di un cancro contratto nel deserto dell’Utah durante le riprese di Il conquistatore (1955): la zona, infatti, era ad alto rischio radiazioni per i continui esperimenti nucleari effettuati in passato, e quasi tutto il cast tecnico e artistico presente nel luogo per le riprese si ammalò in breve successione, e perse la vita nello stesso modo. L’ubicazione della sua tomba, in una fossa anonima al Pacific View Memorial Park di Newport Beach, fu tenuta nascosta per 20 anni, fino al 1999, per paura che attivisti contrari alla guerra del Vietnam potessero profanarla.

Sposato tre volte: dal primo matrimonio ha avuto quattro figli, di cui tre hanno seguito le sue orme; negli altri due matrimoni ha sposato due attrici, da cui ha avuto altri tre figli, tutti diventati attori.


«Ho vissuto la mia vita in modo che i miei cari mi amassero e i miei amici mi rispettassero. Di tutto il resto, non mi importa assolutamente nulla»

FONTI: Enciclopedia del cinema, Treccani – cinekolossal


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Autore: Raffa

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21 pensieri riguardo “John Wayne, il volto dell’America eroica”

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