Locandine

Gli anni Cinquanta e Saul Bass

Archiviato ormai il conflitto, il cinema è alla ricerca di spensieratezza, e si trova ad affrontare la concorrenza della televisione. Deve quindi impegnarsi per catturare l’attenzione del grande pubblico, sfoggiando un nuovo approccio concettuale.

Saul Bass è stato uno dei più grandi designer americani che ha esaltato l’uso del graphic design nelle locandine cinematografiche, ed è passato alla storia per l’uso delle lettere crude e squadrate, oltre ad accostamenti cromatici di grande impatto visivo. A lanciare il giovane Saul Bass nel mondo del cinema fu il regista Otto Preminger; nel 1954 Preminger si rivolse allo studio con il quale Bass collaborava e gli commissionò il manifesto di Carmen Jones, il musical che andò in scena a Broadway per la prima volta nel 1943 e che fu poi trasformato in un capolavoro del grande schermo. Il risultato fu eccezionale. A vincere fu la semplicità dei font inseriti nel testo, l’effetto chiaroscurale e l’unione degli estremi cromatici nero-rossi, una tecnica che peraltro era molto usata da Bass.

Tra i suoi altri lavori più ricordati, stando alla base del motto che riassumeva il suo modus operandi, cioè “simboleggiare e riassumere”, va ricordata di certo la sequenza d’apertura di un altro film di Preminger: Anatomia di un omicidio (1959). Bass si fece sin da subito notare per la sua riuscitissima abilità nel riassumere graficamente i passi salienti delle pellicole che gli venivano commissionate, realizzando locandine incisive e originali che non passavano inosservate: sia la locandina che i titoli di testa di questa pellicola sono rimasti tra i più iconici e importanti nel campo della cinematografia.

La composizione della locandina, anticipa e simbolizza il contenuto del film; la trama di Anatomia di un omicidio si va infatti a snodare attraverso un’indagine riguardo a un assassinio; la parola “Anatomy” va quindi a coprire due campi semantici diversissimi nell’opera di Bass, esprimendo sia l’anatomia di un corpo fisico scomposto, che la scomposizione in indizi di un caso poliziesco, conferendo all’immagine un velo di ambiguità, in quanto i due significati si sovrappongono e si confondono.

Si nota anche il gusto estetico di Bass per la semplicità e il primitivo: ogni pezzo del corpo sembra infatti tagliato da una mano inesperta, i tagli sono netti, ma storti e incongruenti l’uno con l’altro; queste incongruenze tra le parti permettono di riallacciarsi all’idea di incertezza comunicata dal lettering del titolo e dal numero dei pezzi del corpo: sette parti, un numero dispari che, per sua natura, fa parte di un immaginario di incompletezza e instabilità. La scelta di un numero di questo tipo è simbolica; va infatti a rimarcare come niente, durante l’indagine del film, converga mai. Quest’idea di inquietudine è ripresa anche dalle lettere del titolo, presente sia nella locandina che all’inizio dei titoli di testa; ogni lettera ha infatti misure e forme diverse, comunicando all’osservatore un senso di inconsistenza e di incertezza generale. Questa immagine creata da Bass diventò iconica ed ebbe enorme fortuna negli ambiti più disparati; apparve su inviti, biglietti da visita, album e poster, raggiungendo una fama internazionale.

Ma Bass rivoluzionò anche il modo di realizzare le sequenze introduttive dei film, i cosiddetti titoli di testa, trasformandole in una vera e propria forma d’arte: riteneva, infatti, che il pubblico dovesse essere coinvolto fin dal primo fotogramma. I titoli di testa, allora, non erano considerati ancora come parte integrante dell’opera. Al contrario, erano ignorati dal pubblico che in quel breve lasso di tempo sfruttava l’occasione per andare piuttosto a comprare i popcorn.

Il talento di Bass consistette dunque nell’individuare le potenzialità creative insite nei titoli di testa, mai pienamente sfruttate prima di allora. Come egli stesso affermava, arrivò alla conclusione che i titoli di testa erano in grado di instaurare un’atmosfera speciale ed inedita in sala, di introdurre al clima del film e di diventare veri e propri simboli dell’opera; capì inoltre che essi potevano essere utilizzati come prologo, raccontando eventi accaduti prima dell’inizio della narrazione, oppure come epilogo, dando una conclusione agli eventi e spiegando il senso del film.

I registi più di spicco di Hollywood, tra cui Hitchcock, Kubrick, Landis, Scorsese e Spielberg, chiesero la sua collaborazione per la realizzazione di sequenze d’apertura, di titoli di testa/coda o di locandine celeberrime: ricordiamo Vertigo (1958), Intrigo internazionale (1959), Psyco (1960), Spartacus (1960), Shining (1980), The Blues Brothers (1980), Quei bravi ragazzi (1990) o Schindler’s List (1993). Le sue locandine avevano sempre la capacità di cogliere gli elementi essenziali della storia e di condensarli in immagini metaforiche.

Un fantastico esempio di sintesi è la locandina ideata nel 1958, per La donna che visse due volte di Hitchcock. Un minimalismo insolito in cui uno spirografo su fondo arancione sembra far perdere l’equilibrio della ragione all’uomo, che insegue una vaga figura femminile. Per i Blues Brothers, invece, la sintesi riguarda i due protagonisti, simpaticamente “riassunti” nei loro elementi distintivi: occhiali, cappello e cravatta.

Tutto il suo lavoro è caratterizzato da una grafica essenziale e da uno stile semplice, che però richiamano continuamente metafore e significati nascosti: Bass era capace di sintetizzare i concetti più vari con elementi facilmente decifrabili che arrivavano subito al pubblico. L’obiettivo era infatti comporre un’immagine che nella sua semplicità risultasse enigmatica e facesse riflettere l’osservatore, incuriosendolo; in questo modo si andava, secondo Bass, a stimolare l’osservatore su un piano simbolico e universale. Non a caso sosteneva che “il design non è altro che pensiero reso visibile”.

Tuttavia non sempre i suoi lavori furono scelti. Uno dei rifiuti più eclatanti è stato quello della locandina da lui disegnata per Schindler’s list, che si può vedere qui sopra, a destra di quella che fu di fatto scelta per il film, opera di Tom Martin. Il rifiuto fu opera dello studio, non di Spielberg in persona, perché si riteneva che quell’immagine non avrebbe attirato il tipo di pubblico giusto per il film. Essendo uno studio che cercava di vendere un film su un evento così orribile, è comprensibile che nei materiali di marketing, come la locandina, volesse sottolineare un senso di speranza, se non proprio di ottimismo.

Nel disegno di Bass, invece, prevale il pessimismo: il filo spinato, simbolo delle atrocità naziste, perfora la lista di Schindler, che è ridotta a un frammento, mentre nell’altra locandina la lista è riportata in tutta la sua lunghezza, dando l’idea di quante vite riuscì a salvare. Inoltre l’immagine della bambina tenuta per mano, rimanda a un’idea di umanità in un ambiente ostile e spietato, che è poi il tema centrale del film. In altre parole, il poster di Bass non rifletteva nessuno degli elementi chiave del film di Spielberg, ed era fin troppo minimalista, mentre la pellicola era piena di vita e di morte, ricca di emozioni e visivamente inesorabile.

La prossima volta parleremo degli anni Sessanta in Italia e del cinema d’autore.

∞●∞●∞

Indice della rubrica Locandine

FONTI: ilpost.it – linkiesta.it – as-cinema.combnaylorfilm


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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

44 pensieri riguardo “Locandine”

  1. Al di là dei “rifiuti” (capita sempre, anche per le copertine di libri e dischi) devo dire che la sua opera, spesso “minimal” o quasi, è davvero apprezzabile.
    Ricordiamo una volta di più che il tutto è fatto senza l’ausilio di computer, ma utilizzando solo creatività e mestiere.

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  2. Ottimo post, molto interessante! Sei un vulcano.
    Poco prima che lo scrivessi tu, avevo già pensato alla grafica delle locandine (a cui poi si aggiunge quella dei titoli di testa) come a una forma d’arte. Nella categoria “Arti”, infatti, anche io nel mio blog includo cinema, illustrazioni & Co.
    Sono d’accordissimo su “i titoli di testa erano in grado di instaurare un’atmosfera speciale ed inedita in sala, di introdurre al clima del film e di diventare veri e propri simboli dell’opera; … potevano essere utilizzati come prologo, raccontando eventi accaduti prima dell’inizio della narrazione”.
    Non capisco bene se parlando di epilogo ti riferisci sempre ai titoli di testa…
    Direi che Bass era un bravissimo “sintetizzatore” di concetti, simboli e metafore, lasciando spazio anche a un po’ di ambiguità, come racconti tu, magistralmente come sempre.
    Per Schinder’s List io avrei preferito la locandina di Bass, anche perché poi ci pensa il film, la storia a spostare l’attenzione sulla speranza. Ma sono vere anche le critiche che ha ricevuto.
    In ogni caso, tutte le sue locandine sono davvero uniche ed è stato un vero piacere trovare riunite qui in una serie di esempi.

    P. S. Fino a pochi anni fa, chi andava al cinema se la dava a gambe subito dopo la fine, senza dare neanche un’occhiata ai titoli di coda, che per me invece sono importantissimi. Al massimo, e se avevi pazienza, trovati gli spezzoni scartati del film o le scene del “girato” che facevano ridere. Ma forse, nel frattempo, le cose sono cambiate e, con esse, anche l’importanza di quella che è una parte integrante del film. Magari ne parlerai, quando arriverai al punto in cui diventano importanti.

    Piace a 2 people

    1. Come ho risposto adesso a zip, ho dovuto per forza fare una scelta e sintetizzare, ma tu saprai fare di certo un discorso più approfondito. Riguardo all’epilogo, mi riferivo proprio a certi casi in cui sono i titoli di coda a fornire un’ulteriore spiegazione al film, talvolta in modo assurdo, nel senso che se uno non lo sa, se ne va via prima e resta con un finale incompleto. Recentemente mi è capitato con una serie, tra l’altro bella e ben fatta, dove la spiegazione dell’identità del colpevole è tutta inserita nei titoli di coda, a spezzoni. E me ne sono accorta per caso.

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            1. La serie a cui mi riferisco è Sharp Objects, non so se l’hai vista. Una serie crime con Amy Adams.
              Se la guardi, ricordati i titoli di coda dell’ultima puntata 🙂

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      1. Mi piacerebbe molto approfondire, ma il discorso approfondito, insomma, l’analisi piuttosto esaustiva l’hai già fatta tu e hai anche pubblicato un sacco di esempi, quindi hai dato all’artista l’onore che meritava. Io non sono brava ad analizzare, recensire ecc. Io scelgo qua e là, traduco, taglio, edito, trovo un po’ di foto, ma questo è quanto 😦

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        1. Io so che i tuoi articoli li trovo sempre molto interessanti e ben argomentati.
          Anche io prendo in qua e in là sul web, infatti metto sempre le fonti. Di mio alla fine c’è poco…
          E comunque abbiamo lettori diversi.

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  3. Bellissimo post, lui è stao un grande davvero ancora oggi ci sarebbe da prendere degli utili spunti se non altro al riguardo dell’innovazione che ahimé, oggi come oggi scarseggia abbondantemente. Buon proseguimento di giornata carissima Raffa 🍁

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  4. Uno stile personale e artistico Tanto è vero che molti aspettavano che finisce la programmazione del film per accaparrarsi le sue locandine! copriti perché comincia il freddo punto qui a Roma Siamo alla pioggia! Un abbraccio Nadia

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