Douglas Sirk, l’arte del melodramma

1897 – 1987

Il suo vero nome era Hans Detlef Sierck. Nasce ad Amburgo il 26 aprile 1897 da un padre danese che faceva il giornalista; trascorse buona parte dell’infanzia in Danimarca, per tornare poi a stabilirsi con la famiglia in Germania, dove frequentò, presso le università di Monaco, Jena, Amburgo, corsi di legge, filosofia e storia dell’arte. Nel 1922 pubblicò una traduzione dei sonetti di Shakespeare e nello stesso anno esordì nella regia teatrale, diventando presto una delle figure più in vista del teatro tedesco. Sono i nazisti a spingerlo verso il cinema, ad allontanarlo forzatamente dal teatro, anche per il suo matrimonio con una donna ebrea.

Nel 1934 fu assunto dall’UFA come regista cinematografico e negli anni successivi realizzò una serie di film in cui sperimentò la rilettura della tradizione melodrammatica. Resta in Germania fino al 1937, anni già molto pericolosi, ma a un certo punto le cose si fanno troppo rischiose e decide di andarsene in America, senza un soldo. Qui inizia la sua seconda fase da cineasta e ottiene un contratto con la Columbia con cui però si trova malissimo. Fa alcuni film di cui non va per niente fiero, costretto a subire le angherie dei produttori. Riesce poi a stracciare il contratto e per un anno va a cercare il figlio in Europa, dove scopre che è morto sul fronte, nella campagna di Russia. Tornato a Hollywood, inizia a collaborare con la Universal, che gli darà la possibilità di affermarsi come re del melodramma da botteghino.

Da quel momento iniziò infatti a sperimentare il sistema hollywoodiano dei generi: insinuò sottili elementi di critica nella commedia, fece incursioni nel western, nel peplum e nell’avventura. Raggiunse però i risultati migliori con la serie dei melodrammi che realizzò a partire dal 1953, godendo di notevole autonomia nei confronti dello studio e lavorando per lo più con il direttore della fotografia Russell Metty, il consulente per il colore William Fritzsche, il compositore Frank Skinner e il produttore Ross Hunter.

Dopo Desiderio di donna, del 1953, il film che segnò la sua carriera fu Magnifica ossessione, l’anno dopo, storia a forti tinte basata su amore e cecità, medicina e religione, irresponsabilità e ripensamento morale: in questa occasione Sirk passò a quell’uso estremo del colore che avrebbe caratterizzato le sue opere migliori, e lanciò definitivamente come star Rock Hudson, interprete di otto dei suoi film.

Il grande successo ottenuto diede il via a una serie di capolavori: Secondo amore (1955) e Come le foglie al vento (1956), film in cui i temi dei rapporti familiari, del tradimento, della seduzione, della labilità dei sentimenti si accompagnano a una emotività esasperata; Il trapezio della vita (1957) e Tempo di vivere (1958) in cui le passioni private sono messe in contrasto con la tragedia della guerra; Lo specchio della vita (1959), melodramma sui rapporti complessi e sofferti tra madre e figlia in cui Sirk evidenzia il gioco delle illusioni e delle apparenze.

In queste pellicole, il regista osserva e analizza impietosamente la borghesia americana con un sottile senso di distacco, che si manifesta in quello che lui stesso definiva unhappy happy end, cioè una conclusione che rispettava la regola sacra del lieto fine, lasciando tuttavia un senso di amarezza e di fallimento. Anche se le sue storie sono spesso convenzionali, i personaggi dei melodrammi di Sirk si rivelano ambigui e contraddittori, le relazioni evocano i modelli della tragedia classica, i conflitti tendono progressivamente a scaturire dall’interiorità dei protagonisti più che da avvenimenti eccezionali.

Le sue opere sono caratterizzate dall’uso inventivo e talvolta surreale del colore, la prepotente evidenza simbolica degli oggetti, e la particolare cura riservata agli interni. Nel 1959 Sirk decise di porre fine all’esperienza hollywoodiana e tornò in Europa dove riprese il nome di Detlef Sierck per svolgere l’attività teatrale, insegnò cinema e firmò come Douglas Sirk tre cortometraggi realizzati con gli allievi. Nessuno capì questo suo ritiro nel momento in cui era all’apice del successo.

Dopo un breve periodo di oblio, la sua opera venne riscoperta alla fine degli anni ‘60 e rilanciata all’inizio dei ‘70, quando Jon Halliday pubblicò un libro-intervista, il Festival di Edimburgo gli dedicò nel 1972 un’ampia retrospettiva, e Rainer W. Fassbinder si schierò tra i suoi più entusiasti e convinti estimatori, contribuendo a far coincidere la rivalutazione del regista con una più generale riflessione sul genere cinematografico del melodramma. La rivalutazione delle sue opere si deve soprattutto a Jean-Luc Godard, che scrive un elogio sui Cahiers du Cinéma nel ‘59, paragonando i movimenti di camera di Sirk alle pennellate di Jean-Honoré Fragonard, mentre Truffaut fa degli accostamenti con Balzac. Oggi troviamo richiami all’opera di Sirk nelle pellicole di François Ozon, Pedro Almodóvar, Todd Haynes, David Lynch e John Waters.

Douglas Sirk morì a Lugano, in Svizzera, dove si era ritirato a vita privata, il 14 gennaio 1987, a 89 anni.

«Il lieto fine nei miei film non è altro che una promessa in mala fede: nasce dalla speranza che il mondo, là fuori, non sia del tutto marcio»

FONTI: Enciclopedia del cinema, Treccani – Rivistastudio.com


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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

11 pensieri riguardo “Douglas Sirk, l’arte del melodramma”

  1. La sua citazione è davvero bella ma ciò j9n toglie che non lo conosco come attore e d3i film da te citati credo di non averne visto neppure uno tanto per cambiare 😌 Bu9n proseguimento di serata cara Raffa 🌹

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