Alec Guinness, stile, semplicità e fantasia

Il suo nome completo era Alec Guinness de Cuffe. Nasce a Marylebone (Londra) il 2 aprile 1914. Poco si conosce della sua famiglia d’origine, se non che trascorse un’infanzia povera con la madre, che lavorava come cameriera, in giro per l’Inghilterra in pensioni a buon mercato, e non conobbe mai il padre, un uomo ricco che si occupò di fornirgli a distanza una somma per l’educazione scolastica.

Ancora ragazzo si cimentò nel suo primo Shakespeare in una recita scolastica del Macbeth, nel ruolo del messaggero. La passione “di essere un altro”, il piacere istintivo per il gioco mimico e per il travestimento si accesero in lui fin da allora. Quando si presenta per la prima volta in teatro, l’impresario, tra i più famosi di Londra, gli sconsiglia la carriera artistica definendolo poco adatto alla recitazione; al contrario, gli suggerisce un buon posto da impiegato.

È ad oggi considerato, insieme a Laurence Olivier, Ralph Richardson e John Gielgud, l’attore più importante della storia cinematografica e teatrale inglese. Un successo conseguito nel corso della carriera attraverso la qualità della recitazione, ammirata per la semplicità, la purezza e la chiarezza di una superba linea interpretativa. Nella grande diversità dei ruoli ricoperti lo caratterizzarono sempre la straordinaria misura e la naturalezza, libera da tecniche e artifici, che gli consentirono di valorizzare il lato umano dei personaggi, ma anche una notevole capacità mimetica.

A tutto questo si accompagnò costantemente uno stile recitativo sommesso e antiretorico, ma fortemente espressivo, e insieme un’ironica impassibilità tipicamente british. Professionalmente nasce in teatro, mentre nel cinema si mette in luce grazie alle qualità di attore versatile e trasformista.

I due film che segnarono il suo esordio di attore cinematografico furono Grandi speranze, del 1946, e Le avventure di Oliver Twist, del 1948, entrambi di David Lean. Fu proprio quest’ultimo film che gli diede la possibilità di mettersi definitivamente in luce. Nel 1949, in Sangue blu, interpreta ben otto ruoli, tra cui uno femminile, mostrando definitivamente le sue grandi capacità espressive.

Guinness fu il più inglese degli attori britannici per quella capacità di elegante e ironica dissimulazione, con cui riusciva ad apparire un personaggio comune, un uomo che assomiglia a tutti gli altri, eppure da tutti gli altri si distingue per la sua peculiarità. Tantissime le sue interpretazioni, entrate nella storia del cinema, tutte giocate sull’arte di non far niente, di passare inosservati, eppure modellate su caratteri indimenticabili.

Come il metodico e insospettabile impiegato di banca che sogna e mette a punto il grande furto di lingotti d’oro ne L’incredibile avventura di Mr. Holland, del 1951, o l’impassibile e stravagante chimico-inventore ne Lo scandalo del vestito bianco, dello stesso anno, o ancora il perfido e mellifluo Professor Marcus, infida mente criminale ne La signora omicidi, del 1955. Nel 1958 vinse l’Oscar come miglior attore protagonista con il ruolo dell’integerrimo e pateticamente inflessibile colonnello Nicholson ne Il ponte sul fiume Kwai di David Lean.

E come dimenticare il rappresentante di aspirapolvere, costretto a improvvisarsi indolente e confusionario agente segreto, ne Il nostro agente all’Avana, del 1959, o il colonnello ubriacone e irruento di Whisky e gloria, del 1960. Dopo essere stato nominato Sir dalla regina Elisabetta II nel 1959, la sua carriera sembrò confinarsi nell’interpretazione di personaggi storici per grandi produzioni di film in costume: dall’emiro Faisal in Lawrence d’Arabia, sempre di Lean, a Marco Aurelio ne La caduta dell’Impero Romano di Anthony Mann, da Carlo I in Cromwell, del 1970, ad Adolf Hitler ne Gli ultimi dieci giorni di Hitler, del 1973.

Memorabile anche la sua interpretazione del domestico cieco nel film Invito a cena con delitto, del 1976. L’anno dopo diede vita al personaggio di Obi-Wan Kenobi, ultimo cavaliere Jedi della saga fantasy ideata da George Lucas con Guerre stellari, nel 1977, per cui ottenne una nomination all’Oscar nel 1978, e riapparve poi anche negli episodi usciti successivamente.

Ancora degne di essere ricordate le interpretazioni del vecchio nobile arcigno ne Il piccolo Lord del 1980, e quella del professore di filosofia in Passaggio in India, del 1984. Già affetto da un tumore al fegato, motivo principale del decesso, con aggiunta di un cancro alla prostata diagnosticato successivamente, negli ultimi anni di vita perde anche la vista a causa di un vasto glaucoma. Muore il 5 agosto del 2000, a 85 anni.

«L’insuccesso può dare adito a mille spiegazioni. Il successo non ne ha bisogno di nessuna»

FONTI: cinekolossal – Enciclopedia del cinema, Treccani


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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

18 pensieri riguardo “Alec Guinness, stile, semplicità e fantasia”

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