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The Truman show (1998)

Ventidue anni e non li dimostra affatto. Quando lo vidi al cinema, rimasi fulminata, per l’originalità dell’idea, la semplicità e la simpatia di quel personaggio così umano, e anche, devo ammetterlo, per la bravura di Jim Carrey, che fino ad allora non avevo stimato particolarmente come attore, sicuramente per via dei film che aveva scelto d’interpretare.

Dopo una lunga serie di personaggi da macchietta, fatti di smorfie ed espressioni esageratamente buffe, a nascondere il vuoto sostanziale di sceneggiature inconsistenti, un film intelligente, straordinario, quasi elementare nella struttura, eppure così profondo e carico di possibili interpretazioni. Fondamentalmente drammatico, ma venato da sfumature di un’ironia beffarda e arguta, The Truman show alterna momenti di tenerezza quasi infantile ad altri di ilarità spontanea, mai forzata, amalgamati con un senso di commozione generale che trasforma gradatamente il sorriso in compassione.

Penso che tutti conosciate la storia, ma se qualcuno ancora la ignora, immagini uno dei tanti reality che imperversano sui vari canali televisivi, e se lo figuri mille volte più ignobile, meschino, spietato e soprattutto vero. Ma vero sul serio, non come quei siparietti prefabbricati che si vedono in tv, ad uso e consumo di megalomani in cerca di gloria fittizia e più che mai passeggera.

Immaginate un uomo spiato 24 ore al giorno, per tutta la sua vita, fin dalla nascita; un uomo cresciuto in un mondo falso, costruito attorno a lui fin nei dettagli, dove tutti recitano una parte, i vicini di casa, gli amici, i colleghi, fino alla moglie, dove persino le strade sono finte, finte le auto che le percorrono e i passanti che le attraversano.

Tutto ricostruito in un enorme studio, controllato da telecamere nascoste ovunque e diretto da un regista che manovra ogni più piccolo movimento. E tutto questo a beneficio di chi? Del pubblico televisivo, naturalmente, avido divoratore di immagini che vuole sempre più intime, più vere e più dettagliate. Quel pubblico che si nutre quotidianamente della vita di Truman, delle sue inquietudini, dei suoi amori e delle sue paure, arrivando a condizionare le sue vicende con la propria audience.

Ma la differenza fondamentale tra i reality che si vedono in tv e The Truman show, sta nel fatto che qui il protagonista è inconsapevole di essere ripreso, il che rende tutto più vero e più spontaneo, tranne, paradossalmente, proprio la sua vita. Perché in essa non c’è nulla di vero e di spontaneo, ma lui non lo sa, e crede di vivere come tutti noi una vita normale.

Finché ad un certo punto l’ingranaggio apparentemente perfetto si guasta. Prima un sospetto, un dubbio, un’amica che cerca di avvisarlo. Poi la decisione della fuga, per la necessità assoluta di conoscere quella verità che comincia a sospettare, ma che non riesce a credere.

Il finale è la parte più spettacolare, quella in cui Truman tiene col fiato sospeso il suo pubblico, che lo segue da anni, e anche noi, che abbiamo assistito alla sua evoluzione nel corso del film. Lo guardiamo attraversare a fatica quel mare che lo separa dalla verità, e tifiamo per lui, mentre la voce del regista che sembra provenire dal cielo, come fosse la voce di Dio, cerca di convincerlo a lasciar perdere, perché il mondo esterno sarà molto peggio di quello che lui ha conosciuto sino ad ora.

Truman allora scende dall’imbarcazione e sale una scala che lo conduce verso una porta con la scritta ‘Exit’. A quel punto si gira, si inchina a Christof e al suo pubblico, apre la porta e l’attraversa, scegliendo il buio dell’incertezza ma anche della libertà. Un buio mai stato più luminoso di così. “Casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte” sono le parole di commiato dal suo pubblico.

In qualche modo The Truman show prelude al ben più drammatico Matrix, che uscirà l’anno seguente, senza ovviamente tutte le sue implicazioni fantascientifiche. Il film di Peter Weir rimane in un limbo tra il fantastico e il grottesco, ma lascia intendere un’alta percentuale di possibilità, che dovrebbe spaventarci, o almeno preoccuparci. In pratica realizza una metafora tagliente sull’influenza dei media, rappresentando le conseguenze esasperate sul pubblico, ma anche sull’individuo.

Bellissima anche la simbologia dei nomi, che forse può sfuggire allo spettatore meno attento: Truman, che significa uomo vero, è l’unico personaggio reale in tutto il complesso apparato del film; il regista, interpretato da Ed Harris, scelto all’ultimo momento come sostituto di Dennis Hopper, ma decisamente all’altezza del ruolo, si chiama Christof, e qui direi che non è necessario spiegare qual è l’analogia; la moglie di Truman si chiama Meryl, e Marlon il suo migliore amico, mentre tutte le strade della cittadina di Seahaven, dove vive Truman, hanno nomi di attori, quasi a voler ribadire la dimensione fantastica del film. E anche il nome della cittadina sottolinea che si tratta di un luogo ideale, un porto sicuro.

The Truman show è stata per Carrey la prima occasione di interpretare un ruolo drammatico e di mostrare tutte le sue reali capacità, anche di improvvisazione: la scena in cui Truman è davanti allo specchio, che lo riprende a sua insaputa, e disegna con la saponetta una tuta spaziale sullo specchio, per fingersi un astronauta, è stata un’idea improvvisata da Carrey.

Il film di Weir è meravigliosamente impostato anche dal punto di vista scenografico, con la ricostruzione in studio di un’intera cittadina, di un’isola, e persino di eventi metereologici, il tutto accompagnato da musiche suggestive e valorizzato da una fotografia che riprende i toni caldi delle commedie degli anni ’60.

Una pellicola straordinaria e visionaria, triste e divertente allo stesso tempo, molto più profonda di quanto appaia, e, per allora, rivoluzionaria e assolutamente originale, che a tutt’oggi rimane un esempio ineguagliato di grande cinema.

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Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

29 pensieri riguardo “The Truman show (1998)”

  1. Visto più volte: Jim Carrey in una veste inusuale, ma superbo. Ho preso parte (come “consulente esterno”) anche alla realizzazione di una versione teatrale del film.

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