Sidney Poitier, il suo nome è leggenda

Nasce a Miami, il 20 febbraio 1927. In realtà Poitier era un «americano per caso»: la sua famiglia di poveri agricoltori, forse discendente da schiavi haitiani, come farebbe supporre l’origine francese del cognome, si era stabilita alle Bahamas e i suoi genitori lo fecero nascere a Miami per caso, durante una gita che costrinse la madre in ospedale per un parto prematuro. Dopo la sua nascita, la famiglia dovette rimanere in America tre mesi prima che il bambino recuperasse la salute. In cambio ebbe in dono la cittadinanza americana insieme a quella inglese, visto che allora le Bahamas erano ancora un protettorato della Corona.

Rimpatriato a Nassau, il piccolo Sidney vi restò fino ai 15 anni, quando tornò in America insieme al fratello maggiore. Un anno dopo viveva già da solo a New York, lavando piatti di giorno e sognando il teatro la notte. Dopo aver studiato con impegno per migliorare accento e portamento, entrò a far parte dell’American Negro Theatre, ottenendo un piccolo ruolo in una produzione di Broadway che gli valse l’immediata attenzione e il favore della critica.

Fu notato da Daryl Zanuck, noto tycoon di Hollywood, che lo scritturò per Uomo bianco, tu vivrai di Mankiewicz, in cui doveva affrontare un cattivissimo e razzista Richard Widmarck. Nonostante il suo amore viscerale per il teatro, la strada di Sidney era quella del cinema. Richard Brooks lo sceglie per Il seme della violenza, nel 1955, che sarà il suo primo successo personale; due anni dopo Martin Ritt lo chiama per interpretare Nel fango della periferia, mentre l’anno successivo, nel 1958, diventa coprotagonista a fianco di Tony Curtis ne La parete di fango, in cui il tema dominante è ancora il razzismo.

Nel 1964 Ralph Nelson gli regala il suo primo Oscar con I gigli del campo, una commedia dai toni dolci sullo spirito di solidarietà e di fratellanza. Era il primo attore afroamericano a conquistare il premio come miglior attore protagonista, e sarebbe rimasto l’unico fino alla generazione di Louis Gossett jr. e Denzel Washington. Alla ribellione di Malcolm X, Poitier contrapponeva una rivoluzione gentile, ruoli socialmente impegnati e un orgoglio di razza fondato sulla tolleranza. Con questi mezzi e con la complicità di grandi registi riuscì a conquistare il grande pubblico e a imporsi come un’icona di tutta l’America.

Due film del 1967, che riscossero entrambi un notevole successo, seppur distanti per generi e tematiche, riflettono appieno il rapporto sempre intercorso tra Poitier e il suo pubblico: La calda notte dell’ispettore Tibbs, per la regia di Norman Jewison e Indovina chi viene a cena? di Kramer. Nel primo, l’attore è l’ispettore Tibbs che, inizialmente creduto un malvivente e arrestato dal rude sceriffo, riesce a mantenere un dignitoso distacco dalla realtà che lo circonda, quella dura, razzista e soffocante di una cittadina del Mississippi, rivelando le sue sottili doti investigative nel risolvere il caso; nel secondo, invece, riesce a farsi accettare da una coppia bianca come futuro genero.

La fine degli anni Sessanta registrò un cambiamento nel rapporto di Poitier con il cinema: mettendo da parte i film di impegno sociale, partecipò infatti a diverse commedie, e nel 1972 esordì dietro alla macchina da presa con Non predicare… spara!, a cui fecero seguito altri otto film da lui diretti, per lo più commedie, quasi a volersi distaccare dal proprio mito, esaltando il talento di Gene Wilder e Richard Pryor. Dopo aver recitato nel ruolo di un attivista in lotta contro l’apartheid nel film d’azione del 1974 Il seme dell’odio, accanto a Michael Caine, ha notevolmente diradato la sua presenza sul grande schermo, partecipando poi nel 1988 a due polizieschi, Nikita ‒ Spie senza volto di Richard Benjamin e Sulle tracce dell’assassino, di Roger Spottiswoode, e negli anni Novanta a I signori della truffa, del 1992, e a The Jackal di Michael Caton-Jones, del 1997.

Con i ruoli interpretati e il grande successo ottenuto, Poitier ha rappresentato a Hollywood il simbolo dell’integrazione culturale: attraverso una recitazione sobria e contenuta, l’indubbio fascino e il portamento signorile, nei suoi film è riuscito ad avviare il processo di accettazione del ‘diverso’, molto prima che il problema esplodesse nel cinema, con i conflitti ben più violenti portati alla luce da altri interpreti e da altri registi come ad esempio Spike Lee. Ma la leggenda di Sidney Poitier non si è sviluppata solo in campo cinematografico.

Basta scorrere la lista dei suoi premi per capire lo spessore del personaggio: due Oscar, di cui uno alla carriera; 3 Golden Globe e otto candidature, 2 premi e 5 candidature ai Bafta Awards; ma anche la medaglia della Libertà, la massima onorificenza civile americana, conferitagli nel 2009 da Barack Obama, e il titolo di Cavaliere dell’Impero Britannico assegnatogli dalla Regina Elisabetta; la nomina ad ambasciatore delle Bahamas che lo ha impegnato in Giappone e all’Unesco fino al 2007.

Dopo un primo matrimonio con Juanita Hardy e una lunga relazione, ha sposato nel 1976 l’attrice canadese Joanna Shimkus con cui ha dato origine a una autentica famiglia patriarcale con sei figlie (quattro nate nel primo matrimonio), otto nipoti e tre pronipoti.
Si è spento a Los Angeles, il 6 gennaio 2022, all’età di 94 anni. La causa della morte non è stata resa nota.

«Non cambierei una sola cosa della mia vita, perché anche la più piccola modifica cambierebbe tutto quello che ne è seguito»

FONTE: Enciclopedia del cinema, Treccani

Autore: Raffa

Appassionata di cinema e di tutte le cose belle della vita. Scrivo recensioni senza prendermi troppo sul serio, ma soprattutto cerco di trasmettere emozioni.

16 pensieri riguardo “Sidney Poitier, il suo nome è leggenda”

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