Liberamente ispirato a nove racconti e una poesia di Raymond Carver, America oggi è un viaggio nella Los Angeles degli anni ’90, un affresco intimo in cui i destini contrastanti di 22 personaggi affrontano drammi, emozioni, piaceri, sorprese e pericoli della vita quotidiana. All’inizio del film, mentre scorrono i titoli di testa, uno strano balletto di elicotteri, che scarica un insetticida, ci informa che è in corso una guerra contro il moscerino della frutta. Nello stesso tempo, vediamo alcuni personaggi che assistono a un concerto, ascoltano una cantante o guardano uno spettacolo televisivo. Quasi senza parole, attraverso un gioco di collegamenti visivi, Altman crea un legame tra questi volti che gradualmente diventeranno familiari e capiremo cosa li unisce. Alla fine del film, è un terremoto che riunirà di nuovo i protagonisti.

Tra i due momenti, quello iniziale e quello finale, scorrono tre ore di film che coinvolgono i personaggi in situazioni più o meno serie, a volte drammatiche, ma sempre determinanti per la loro trasformazione. Il messaggio di Altman, desolante e molto amaro, è che il vero pericolo non viene dall’esterno: dei moscerini non si sente più parlare nel film e il terremoto finale non fa vittime. L’unico vero pericolo viene dagli esseri umani nella loro complessità.

Può trattarsi di un incidente, un omicidio o un suicidio, ma soprattutto un susseguirsi di nevrosi e frustrazioni, d’indifferenza o gelosia, di tragica incapacità di comunicare realmente i propri sentimenti. Come Carver, che qui viene adattato in modo geniale, Altman coglie questo incessante fluttuare dei personaggi dalla gioia alla rabbia, dalla felicità alla disperazione, avvelenati quotidianamente dalle tante cose non dette. E la grandezza del regista sta nel non perdersi tra le storie di questi 22 personaggi diversi, che si sfiorano, senza mai toccarsi né conoscersi veramente, mentre le loro vite si intrecciano per un attimo e infine si allontanano irrimediabilmente.

Difficile raccontare la trama di un film come questo, dove il vero protagonista è il genere umano in tutte le sue sfaccettature: il quadro che ne esce è molto desolante, popolato da personaggi impantanati nella mediocrità e nella menzogna, che continuano a ferirsi a vicenda. Tra gli altri spicca la figura degradante di una donna che lavora a domicilio come telefonista erotica, e si dilunga in conversazioni più che esplicite, mentre accudisce la figlioletta, sotto gli occhi disgustati del marito.

O il ritratto di una violoncellista che cerca di attirare disperatamente l’attenzione della madre, fino al gesto estremo del suicidio. E ancora un gruppo di amici che passano il weekend a pesca e scoprono per caso un cadavere in acqua, ma continuano a pescare come niente fosse. Storie di varia umanità, si potrebbe dire, o forse di varia disumanità. E Altman fa tutto il possibile per creare una fitta rete destinata a unire tutti i personaggi e rendere coerente questo universo frammentato, in modo che si risolva alla fine in modo coerente.

Partendo da piccole storie parallele, il film tocca lo spettatore nel profondo, pur senza cercare sconvolgimenti eclatanti; basta guardare come viene mostrata la morte, senza alcun compiacimento, quasi senza commozione. Altman ci trascina nei salotti della Los Angeles degli anni ‘90 per lasciarci con l’idea che la fine dei tempi sia vicina: sesso, adulterio, suicidio, abuso di alcol e soprattutto mancanza di amore, questi i mali che tormentano i protagonisti. Separatamente, nessuna delle storie sarebbe abbastanza forte da diventare un film, ma il regista ha la capacità per fonderle e renderle un tutt’uno.

Introduce le varie situazioni separatamente, in modo breve e giocoso, permettendo poi ai personaggi di incontrarsi di tanto in tanto, rendendosi riconoscibili e aumentando gradatamente la propria presenza. Per disegnare questo amaro ritratto della società di fine millennio, Altman si avvale di un cast illuminato da attori superlativi, che recitano tutti in modo sommesso, quasi sussurrato, in modo da essere perfetti nel loro ruolo ma senza prevalere sugli altri. Stelle di prima grandezza che si comportano come caratteristi, dando al film un’impronta corale riuscitissima.

Anche grazie al loro equilibrio Altman riesce a compilare una sorta di inventario della società americana, che non diventa mai caricatura e neppure semplificazione, ma oscilla continuamente tra farsa e tragedia, un po’ come la vita di ognuno di noi. Per questo l’impressione finale che si riceve è quella di un crudo realismo, in un film che, nonostante la lunghezza, non annoia mai.
Buon giorno ++ Leggendo la tua recensione qualche pezzo devo averlo visto.
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Il titolo non mi è nuovo e qualche sprazzo di luce nella memoria si è acceso, ma nulla più…
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E’ un film un po’ dispersivo, proprio perché le storie che racconta sono tante e si intrecciano tra di loro.
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non so
non credo sia uno di quei film che guarderò mai, non è nelle mie corde
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Raffa, ti faccio un indovinello io, stavolta. Non so se hai letto un certo libro, di molto precedente, che a me ha fatto pensare a questo film.
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Difficile, eh…
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Non saprei… Qualcosa di Carver?
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Carver, certo. è tratto dai suoi racconti, se non sbaglio. Qualcosa di molto più difficile ❤
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A me il film piacque molto…è stato da lì che ho conosciuto Carver. (fenomeno di informazione inversa!) 🙂
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Servono anche a questo i film…
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Di solito il mio iter è opposto: prima leggo il libro e poi vedo il film…
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Di solito sì 🙂
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Altman ci ha regalato anche quest’altro capolavoro:
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Eh, ce ne ha regalati di capolavori…
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Il film che ti ho segnalato è senza dubbio la sua gemma più splendente. L’ho anche recensito: se digiti “jimmy dean” nel motore di ricerca del mio blog troverai il post che gli ho dedicato. Grazie per la risposta! 🙂
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